MESTIERI ANTICHI E MODERNI di Gaetano Dini

Una volta c’era l’artifex…

L’artifex per gli antichi era l’uomo che esercitava sia un’attività artistica sia un mestiere come li si intende oggi; quindi l’artigiano era a buon diritto considerato anche un artista. Nelle civiltà antiche, tradizionali, qualsiasi attività umana era ritenuta derivante dall’alto, da principi di ordine superiore. La manifestazione esteriore di ogni attività partecipava quindi di questi principi ed era strumento di iniziazione per chi la svolgeva.
Oggi una persona può normalmente esercitare una professione qualsiasi e cambiarla nell’arco della propria vita. Nelle società antiche, organiche, le persone dovevano invece adempiere la funzione cui erano destinate dalla natura per nascita, non potendo cambiare tipo di attività senza provocare un disordine sociale con ripercussioni finanche di ordine cosmico.

I mestieri meccanici dei moderni, invece, sono tipici di società profane che hanno perso il contatto con la dimensione del sacro, proprio delle società tradizionali. 

Anticamente il mestiere era concepito come una manifestazione esteriore dell’indole di chi lo esercitava, servendo da base e supporto alla di lui iniziazione. Il mestiere infatti era un vero strumento di iniziazione. Attraverso l’esercizio rituale delle attività specifiche collegate a un mestiere, questo trasmetteva una regolare influenza spirituale all’artifex che veniva così a rivestire nel contempo sia la funzione di artigiano che quella di adepto.
Le iniziazioni di mestiere appartenevano all’ordine dei “Piccoli Misteri” riferendosi allo sviluppo delle possibilità inerenti lo stato umano. Il termine del percorso offerto dai “Piccoli Misteri”, i cui primi gradi erano purificatori, conduceva l’uomo alla riconquista del proprio “stato primordiale”, stato che apparteneva ancora al dominio dell’individualità umana. 

Seguendo la logica di sviluppo delle leggi cicliche, nello “stato primordiale” l’uomo si era trovato nel pieno possesso del suo stato d’esistenza e possedeva le capacità connesse a tutte le funzioni, anteriormente a ogni loro successiva distinzione.
Il percorso offerto dai “Piccoli Misteri” era propedeutico a quello offerto dai “Grandi Misteri”, il quale era di carattere iniziatico puro e serviva al conseguimento di stati superiori a quelli tipicamente umani.
La concezione moderna e contemporanea delle scienze specializzate e separate tra loro, è caratteristica dello spirito analitico e profano tipico delle nostre epoche. Le arti antiche erano invece strettamente connesse tra loro e si ricollegavano sinteticamente a un’unità fondamentale di dottrina artistica.

Fin dalla notte dei tempi, le arti plastiche erano state espressione dell’attività dei popoli sedentari, le arti fonetiche lo erano state dei popoli nomadi. Alla base di tutte le arti c’era l’applicazione di una scienza del ritmo nelle sue diverse forme, scienza che si ricollega a quella dei numeri.
Modifiche alle regole dell’arte fonetica erano consentite solo in accordo a cambiamenti che avvenivano con il trascorrere dei periodi ciclici, in quanto i ritmi musicali erano intimamente connessi all’ordine sociale e cosmico. Anche le arti plastiche erano espressione della scienza dei numeri in quanto in esse il ritmo numerico era presente nelle proporzioni architettoniche in modo simultaneo e cristallizzato, senza svilupparsi con successione temporale come avveniva nelle arti fonetiche. 

Anche le arti contemporanee si basano ovviamente sulla scienza dei numeri, ma manca agli uomini di oggi una completa consapevolezza di questo. Le arti e i mestieri antichi europei erano consacrati a particolari dei, numi, eroi, quali Baldr, Ermete, Vulcano, Prometeo e la componente che più contava in essi era quella “anagogica”, cioè il potere di condurre verso l’alto. Nell’antica Roma ogni corporazione aveva infatti un suo nume protettore, al quale era dedicato un tempio e uno specifico culto officiato da un Magister e praticato da Sodales o Colleghi.
Anche nel medioevo la dimensione del sacro permeava tutte le attività di vita quotidiana, comprese le arti ed i mestieri. Le abilità e attività di ordine inferiore erano tradizionalmente considerate come simboli della dimensione superiore, essendoci ancora la consapevolezza che la conoscenza discendeva dall’alto.
,Ogni oggetto lavorato possedeva un proprio valore qualitativo avendo nel contempo la sua specifica utilità pratica. Tali prodotti erano il frutto di una personalità creatrice trasmessa nei secoli e presentavano come creazioni artigiane ed architettoniche un anonimato non di carattere sub-personale, ma super-personale. Questo è stato il grande anonimato proprio del medioevo !

Riguardo il dominio artistico, lo studioso F. Schuon si è espresso con queste parole: “Umanamente parlando certi artisti del Rinascimento sono certamente grandi ma di una grandezza che diviene piccolezza davanti la grandezza del sacro. Nel sacro il genio è come nascosto; ciò che predomina è un’intelligenza impersonale, vasta, misteriosa. L’opera d’arte sacra ha il profumo dell’infinità, l’impronta dell’assoluto. Il talento individuale vi è disciplinato, si confonde con la funzione creatrice dell’intera tradizione, funzione che non può essere sostituita e tanto meno superata dalle risorse dell’uomo”.

Oggi invece nell’arte predomina il culto della personalità, dell’esibizionismo, di vanità dell’Io, di smania di originalità. Il talento artistico individuale, sia naturale sia faticosamente coltivato in serra, porta a sopravvalutare l’importanza della soggettività creatrice dell’artista, venendo così a mancare quel carattere di oggettività normativa peculiare dell’arte sacra. 

Con lo sviluppo delle scienze moderne e l’applicazione del metodo sperimentale propri del ‘600 europeo, si viene gradatamente a sostituire l’impianto sistemico tolemaico con quello copernicano. Allo studio della matematica viene preferito quello sperimentale della fisica per le sue maggiori applicazioni pratiche.
Al modo convenzionale di descrizione dei fenomeni fisici confortato questo dall’autorità delle Sacre Scritture e da un consenso unanime millenario, si sostituisce gradatamente il metodo di studio  sperimentale costituito da ipotesi di lavoro, esame critico e deduzioni finali.
I centri di propulsione scientifica non sono più le Università, sedi di conservazione della vecchia scienza e strettamente legate ai pubblici poteri, ma una nuova rete di scambi epistolari creatasi tra gli scienziati del tempo. Infatti le lettere di contenuto scientifico vanno aumentando di numero e importanza e sotto la spinta della necessità di un’intima collaborazione scientifica sorgono, accanto alle già esistenti accademie letterarie, le accademie scientifiche, nuovi centri di propulsione e diffusione di questo sapere; in Italia l’Accademia dei Lincei fondata a Roma, in seguito l’Accademia del Cimento con sede a Firenze; in Inghilterra la Royal Society di Londra, in Francia l’Academie de Sciences. 

Questo nuovo fervore di ricerca si basa sulla fede nel progresso.
Per gli studiosi dell’epoca la scienza del medioevo è stata una scienza immobile, nella quale tutto era a priori ordinato e catalogato.

Nel Seicento invece gli scienziati con ansia di ricerca sentono il bisogno di svelare e divulgare i segreti custoditi dalla natura al fine di migliorare la vita dell’uomo con l’invenzione di sempre nuove macchine. Secondo loro la fede sistematica nel progresso avrebbe migliorato le teorie, riparato agli insuccessi,  resi più efficienti gli strumenti.
Due epoche e due dimensioni di vita a confronto!

 

Autore: Gaetano Dini
Messo on line in data: Settembre 2018

 

Bibliografia

Evola Jiulius – Rivolta contro il mondo moderno, Ed. Mediterranee, Roma
Evola Jiulius – Cavalcare la tigre, Ed. Il Falco, Milano
Guénon Renè – Melanges (2^ parte), Centro studi guenoniani, Venezia
Guénon Renè – Scritti sulla Massoneria ed altre iniziazioni artigianali,  Ed. Studi Tradizionali, Torino
Storia Universale – Enciclopedia Vallardi, Milano