RACCONTI BREVI di Luna

L’Aquila Bianca

Era una bella giornata di primavera, il sole era alto nel cielo e tutti gli abitanti della montagna si scaldavano ai suoi raggi, l’aria limpida permetteva di vedere anche le vette più alte offrendo uno spettacolo meraviglioso, ma la ragazza rabbrividiva dal freddo nonostante fosse infagottata da maglioni e giacca a vento.
Roberta era tornata a vivere sulle sue montagne, era cresciuta lì da quando la madre era morta, e suo padre che era andato a vivere in città con un’altra donna, l’aveva affidata ai nonni; non provava rancore per suo padre, forse era giusto così. A 15 anni era andata anche lei in città a studiare, aveva fatto un corso veloce ed era andata a lavorare come impiegata in una grande azienda. Dopo qualche tempo, erano iniziati strani mal di testa. “E’ la città” diceva il nonno “tu sei nata sulle montagne, devi restarci”.
Un giorno s’era decisa ed era andata dal medico, ne era seguita una serie interminabile d’esami e prove varie, poi la risposta terribile senza possibilità d’appello: tumore al cervello. Si, era possibile fare un intervento chirurgico, ma forse le conseguenze sarebbero state devastanti e lei aveva detto di no, si era licenziata ed era tornata a vivere sulle sue montagne con i nonni.

Tutti i giorni, quando il male lo permetteva, andava su in alto da dove si vedeva persino il nido dell’aquila e restava per ore a guardare il cielo e respirare l’aria fresca e pulita che veniva dal ghiacciaio
Quel giorno si sentiva particolarmente stanca e se pensava che aveva solo 20 anni le veniva da piangere, ma non serviva a niente, tanto valeva godersi il poco tempo che le era rimasto. Aveva fatto molta fatica a salire sul sentiero, chissà perché quel giorno era stato così faticoso! Era arrivata sulla piccola radura dove si fermava sempre a guardare l’aquila, s’era sdraiata sull’erba a guardare il cielo. L’aquila aveva iniziato a volteggiare sopra di lei quasi per invitarla ma Roberta era troppo stanca, chiuse gli occhi, voleva solo riposare.

Il nonno di Roberta era seduto davanti alla porta di casa in quel paese oramai abitato solo da vecchi, e guardava quell’aquila che volteggiava nel cielo, sopra la montagna, sembrava che invitasse qualcuno ad andare con lei. Improvvisamente un’altra aquila tutta bianca iniziò a volteggiare e giocare nell’aria, il vecchio montanaro non aveva mai visto niente di simile. Un’aquila bianca che brillava come una stella sotto i raggi del sole. Volteggiò un poco nel cielo e poi scese in picchiata verso la valle a volteggiare sopra di lui, allora il Vecchio capì che quella ero lo spirito della sua bambina che si era liberato di quel corpo ormai malato che le procurava solo dolore e veniva a dirgli che ora era libera, e dopo tanto tempo il nonno sorrise, ora la sua bambina era finalmente libera di restare sulle sue montagne, ora anche lui poteva andarsene serenamente, chiuse gli occhi per sempre per volare lassù con la sua bambina.

 

La Strega

Luna camminava nel folto della foresta, il terreno fangoso e freddo le congelava i piedi; non aveva mai posseduto un paio di scarpe, forse non ne aveva mai viste. Cercava di evitare i rigagnoli d’acqua fredda formati dalle piogge e della neve che si stava sciogliendo; marzo era già iniziato, ma faceva ancora freddo.
Attenta a ogni rumore, qualcuno poteva seguirla, al villaggio tutti avevano paura. Il prete aveva detto a tutti che era una strega: lo confermavano i suoi occhi verdi che rendevano schiavi gli uomini.
A denunciarla erano state alcune donne del villaggio inviperite perché Luna aveva stregato i loro uomini, in realtà attratti da quel corpo sinuoso e giovane che sembrava ancora più bello se confrontato con quello delle loro mogli, a trent’anni distrutte dalle gravidanze, dal lavoro dei campi e dalla fame, e non certo gratificate dalla vita familiare.
Vivevano in case, se case si potevano chiamare quelle stamberghe fatte di una sola stanza con il pavimento in terra battuta dove vivevano con sette o otto marmocchi e un marito, quando era buio bisognava anche soddisfare le esigenze di un maschio a cui tutto era dovuto.
– E’ un grave peccato rifiutarsi al marito – questo diceva il prete ogni volta che si andavano a confessare, si poteva andare all’inferno, e nessuna di loro ci voleva andare, era già tanto grama la vita terrena che almeno nel paradiso dovevano pur sperare.

Luna no, lei era diversa non credeva nel paradiso e nell’inferno, non voleva un uomo che ogni notte le montasse sopra per soddisfare se stesso, non voleva ogni anno un figlio da far morire di fame.
Due anni prima, ne aveva circa quattordici, suo padre l’aveva mandata a lavorare nella cucina del convento che era oltre la foresta, aveva conosciuto il giovane priore, figlio cadetto di una famiglia nobile ma con un esiguo patrimonio che non poteva certo essere diviso fra i numerosi figli e perciò, escluso il primo, tutti gli altri erano “toccati dalla divina chiamata.”
Il giovane priore, poco più di vent’anni, istruito, sapeva parlare bene, così aveva insegnato a Luna a scrivere, i primi rudimenti della matematica e i piaceri della carne.
Si era chiesta tante volte se quello fosse l’amore di cui parlavano le altre donne, ma lei non sentiva niente di particolare per quel giovane priore se non il piacere che provava quando si toccavano. La chiamava nella sua cella quando tutti dormivano, si sdraiavano vicini e continuavano ad accarezzarsi e a toccarsi fino a essere sfiniti, tutto questo era così bello e dolce che non poteva essere peccato. Perché mai Dio doveva rendere il sesso bello e poi farne un peccato!? Secondo Luna non era stato Dio, ma i nobili e gli alti prelati perché la povera gente fosse povera anche dentro.

Una notte però li scoprirono, il priore era stato trasferito in un convento più importante, come si conveniva al suo nobile casato, lei era stata rispedita dal padre con le spiegazioni del caso. In virtù di ciò il padre si sentì autorizzato a scegliere ogni sera tra la moglie e la figlia e cosi Luna scoprì quanto può scendere in basso l’essere umano quando è povero anche dentro, e decise che non si sarebbe mai sposata, voleva far l’amore solo con chi le sapeva dare piacere, gioia e calore, per questo ne aveva provati tanti guadagnandosi il titolo di strega. Era fuggita per paura di quelli dell’inquisizione; avrebbe vissuto nella foresta come i lupi, ma non si sarebbe mai fatta prendere si dicevano cose terribili sugli inquisitori.

Aveva già passato due notti all’aperto, aveva freddo e fame, era fradicia, e le sembrava di passare sempre negli stessi posti come se girasse in tondo, stava quasi per arrendersi quando vide un’ombra uscire da un grosso tronco
– Tu sei Luna – disse la vecchia apparsa all’improvviso – ti aspettavo, vieni –
Era troppo stanca per fare domande o per dire di no, la seguì dentro il grosso tronco cavo.
Sotto era scavata una galleria che si allargava e formava una stanza, sembrava la tana di un enorme topo.
– Mi chiamano la strega della foresta, avrai sentito parlare di me- disse la vecchia porgendogli un pezzo di coniglio arrosto ed un infuso caldo. – Ora mangia e riposati, dopo parleremo.
Quando Luna si svegliò era sola nella tana, si guardò intorno, era peggio della stamberga dove viveva con suo padre, mancava anche l’aria, aveva l’impressione di soffocare. Prima non si era resa conto di quanto fosse bassa, si stava in piedi a fatica, in un angolo, ammesso che ci fossero angoli, c’era un fuoco acceso e una pentola appesa a qualcosa, forse una radice che spuntava dal soffitto, dove bolliva un brodo verde che mandava una incredibile puzzo.

– Ti sei svegliata – disse la vecchia entrata proprio in quel momento con un sacco pieno di erbe e foglie che rovesciò nella pentola.
– E’ un infuso per una donna del villaggio, ha partorito due giorni fa’ e continua a perdere sangue, il marito è venuto da me, e torna questa sera a prendere questo decotto e in cambio mi porta un poco di farina e una bella fetta di lardo. Anche tu dovrai imparare a preparare decotti, aiutare le donne a partorire, a fare in modo che non tutti i loro figli nascano vivi o non sapranno cosa dar loro da mangiare. Sai la gente diffida di chi non accetta le regole imposte dai signori, cosi ci mandano a vivere nei boschi ma quando si accorgono che le preghiere e le benedizioni non bastano ci vengono a chiedere aiuto di nascosto, sanno che noi possiamo aiutarli, abbiamo qualcosa in più e dobbiamo aiutarli.

Diversi mesi dopo la rabbia ed il rancore per le streghe che sfuggivano al castigo divino crescevano, alimentati dalle prediche fatte sulla pubblica piazza, non passava settimana che durante la predica non si inveisse contro queste creature del demonio.
Nel folto della foresta intanto Luna aveva imparato molto presto a fare unguenti e decotti e tutto quanto potesse aiutare la povera gente, era e andata al villaggio diverse volte, di notte in compagnia della vecchia, per aiutare le donne a partorire, aveva imparato a girare i bambini e fare in modo che potessero uscire senza toppo danno per loro e per la madre. La chiesa lo sapeva e considerava tutto questo opera del demonio e altamente immorale, Luna però era felice di aiutare ogni volta che poteva e in poco tempo era diventata molto brava; solo le parole magiche non le riuscivano sempre bene, anzi a volte proprio se ne dimenticava.

Luna odiava vivere nella tana della vecchia, amava la luce , il sole e l’aria e si era costruita una capanna tutta per lei nella parte più folta della foresta, si era fatta aiutare da alcuni sbandati che come ricompensa si erano accontentati del suo corpo.
Un mattino Luna andò verso la montagna, dove l’acqua del fiume cadeva formando un piccolo lago, lì crescevano erbe e radici particolari, molto importanti per la preparazione delle sue pozioni. Finita la raccolta il sole era già alto e lei si apprestava a tornare ma qualcosa attirò la sua attenzione: dietro gli alberi un uomo ferito si trascinava a fatica. Luna lo aiutò fino alla sua capanna, dopo averlo spogliato e lavato gli curò le ferite, lo lasciò dormire sul suo letto di pelliccia. Forse anche lui si nascondeva e stava scappando, forse era uno di quei disgraziati che rubano ai pellegrini diretti al convento sulla montagna: ma cosa si potrà mai rubare a chi non ha niente? si chiedeva Luna.

La vecchia la rimproverò molto duramente: non doveva fidarsi di nessuno, era stata molto imprudente, la rabbia e l’ignoranza al villaggio erano troppo forti e lei doveva stare più attenta.
Il mattino seguente l’uomo stava meglio e lo lasciò solo per andare a controllare se almeno un animale fosse rimasto nelle trappole. Tornò più tardi con un coniglio e erbe aromatiche, spellò la sua preda mise la pelle ad asciugare fuori dalla capanna, sarebbe stata utile per fare una coperta per l’inverno, cucinò e mangiò con l’uomo. Quando fu buio si sdraiarono vicini e lui iniziò ad accarezzarla con molta delicatezza sul ventre sulle cosce e con una infinita dolcezza entrò dentro di lei e le fece raggiungere il massimo del piacere per diverse volte, Luna non aveva mai provato sensazioni così forti e cosi dolci, alla fine si addormentarono sfiniti.

Il mattino seguente si svegliò sola, rimase ancora un poco sul suo giaciglio di pelo, quando sentì delle urla provenire dalla foresta, uscì sulla porta della capanna e il suo cuore si fermò, un gruppo di donne e uomini al grido di – BRUCIAMO LA STREGA – veniva verso di lei con le torce, ma davanti a tutti c’era lui.
Tutte quelle facce esaltate lei le conosceva, ne aveva aiutati molti, avevano portato anche i bambini, ma loro non gridavano, guardavano solamente, uno solo piangeva, la madre lo aveva lasciato sotto un albero per andare a bruciare quella strega che l’aveva aiutata tante volte.
Luna non si mosse, non scappò, perché mai doveva scappare? Non valeva certo la pena di continuare ad aiutare quelle persone che in nome di un Dio avevano deciso di bruciare ciò che non capivano e non potevano dominare.
Lei non credeva nell’inferno, ma nella serenità e perciò tornò nella sua capanna.
In pochi minuti il fuoco avvolse tutto, tutte quelle brave persone si convinsero di aver bruciato le loro paure mentre Luna dall’alto li guardava, niente rancore ne odio ne amore. Ma quando il fuoco si spense, quei poveri e ignoranti contadini iniziarono a chiedersi: chi li avrebbe aiutati ora?

Era lunedì, c’era un traffico infernale di ogni lunedì, sembravano tutti addormentati e Anna era in ritardo, anche quella notte il solito sogno, il fuoco che l’avvolgeva, il fumo la soffocava e tanta gente che urlava e lei che si lasciava bruciare senza provare né dolore né paura e tra le fiamme il volto di quel nuovo capufficio che appena entrato aveva iniziato a farle la corte, le piaceva e l’attirava, ma nello stesso tempo le faceva paura come se l’avesse già tradita mille volte, sentiva di non potersi fidare, ma una spiegazione logica proprio non sapeva dove andare a pescarla e Anna andava fiera della suo rigoroso logico modo di ragionare.

 

Autore: Luna
Messo on line in data: Aprile 2004