RACCONTO: PLURALITA’ DELL’ESSERE di Miryam Marino
Pluralità dell’Essere
“Ho dentro di me centinaia di esseri. A volte uno di loro prende il sopravvento e io mi trovo a vivere le sue emozioni. Io non sono solo la depositaria di questa vita, ma di molte vite che la mia anima ha vissuto prima della mia, che le comprende tutte. Nella profonda oscurità del cuore ho vissuto l’angoscia di un essere sulla bocca dell’inferno. Una ferita nel centro della terra non versava sangue, ma fuoco.”
Il mio amico mi guardava perplesso sprofondato sul mio divano.
Era una sera di gennaio e il freddo era pungente, fuori imperversava anche un temporale, ma noi due stavamo comodamente seduti vicino al camino con la compagnia confortante di un bicchiere di brandy. In sere come queste era facile indulgere alle confidenze più intime e a raccontare storie che di solito si tengono per sé.
Il mio amico era persona sensibile e aperta alla spiritualità tuttavia il mio racconto gli pareva piuttosto una fantasia dovuta alla suggestione dell’atmosfera creata dal temporale e dall’alcool.
“Non capisco se stai parlando di un sogno o se ti riferisci a un’esperienza reale, che francamente mi pare impossibile.”
Sorrisi come chi è ben consapevole che sta dicendo qualcosa di incredibile, ma che tuttavia è reale.
“Tu hai certamente sentito parlare della reincarnazione” risposi. “Si, ma io non credo all’inferno e neppure al paradiso.”
Nel camino le fiamme crepitavano disegnando strane e fuggevoli figure che seguivo con lo sguardo.
“Neppure io ci credo, ma vedi, non ascoltiamo mai le nostre voci interiori e non guardiamo mai il mondo se non con gli occhi della razionalità, attenti solo ai nostri problemi quotidiani, così ci sfugge tutto. Guardiamo senza vedere, come ciechi. Non mi riferivo a qualcosa di metafisico ma di reale. Quell’inferno era solo uno dei tanti pianeti dell’universo in cui ho vissuto in un lontano passato.”
Il mio amico appoggiò il bicchiere sul tavolino basso accanto al divano, alzando il sopracciglio in un gesto di perplessità.
“Il concetto della reincarnazione mi sembra plausibile, ma io credo che nessuno ricordi le proprie vite passate, inoltre mi appare inverosimile che si possa rinascere su un altro pianeta.”
“E che senso ci sarebbe a fare esperienza solo della terra? Ci sono infiniti mondi nell’universo e dovunque c’è vita. Quanto a ricordare, è solo questione di disposizione mentale. Se tu archivi sogni, visioni, intuizioni e dejà vu come sciocchezze è certo che non potrà affiorare nulla alla tua mente. Ma se tu afferri quella sensazione, ti immergi in essa, la tiri fuori piano piano, afferrando il lembo che emerge, come se volessi recuperare, senza romperlo, un oggetto prezioso che è stato sotterrato, allora avrai delle sorprese incomparabili.”
Un tuono potente e improvviso ci fece sussultare, il gatto saltò spaventato sulle mie ginocchia. Mentre lo accarezzavo per calmarlo, il mio amico che era rimasto un po’ in silenzio, pensoso, riprese.
“Vuoi dire che tu ricordi tutte le tue vite passate?” domandò.
In realtà non potevo ricordare tutte quelle vite, erano state sicuramente centinaia, ma di alcune avevo sentito la presenza in modo inequivocabile, anche se, le prime volte che era accaduto, non avevo saputo spiegarmi l’incongruenza di essere certa di vivere un’altra vita pur nella sicurezza di essere al contempo me stessa.
“Avevo fatto un sogno, mi trovavo su una spiaggia e c’era una casa. Una scala di legno conduceva alla porta d’ingresso. Quando entrai fui certissima di trovarmi a casa mia. Ne ero così convinta che riconoscevo ogni angolo, perfino una quantità di ninnoli disposti sui mobili. Sollevai un oggetto pensando – da quanto tempo non lo vedevo!- Si trattava di un sogno lucido, uno di quei sogni in cui sei consapevole di sognare e quindi conservi tutta la coscienza della veglia. A causa di ciò sapevo bene che nella mia vita attuale mai avevo posseduto quella casa e tuttavia avevo allo stesso tempo la certezza che mi apparteneva. Per tanto tempo non seppi spiegarmi quella doppia e contrastante certezza.”
Il mio amico si versò un altro po’ di brandy, restava dubbioso. “Come fai a dare tutto questo credito a un sogno?” domandò. “Ci sono sogni e sogni. Alcuni sono solo frammenti sfilacciati, altri non ti possono mentire. A volte afferri solo brandelli di verità e solo altre esperienze oniriche ti chiariscono il quadro.”
Il mio amico sospirò. “La vita è un grande mistero, ogni essere umano è un mistero, perfino per se stesso!”
Egli cominciava a lasciare andare la stampella della razionalità e si faceva sempre più disponibile a entrare cautamente in un mondo di diversa percezione, in una sorta di terra di nessuno dove le certezze non avevano bisogno di prove.
“I sogni aprono spiragli di verità, ma non ci sono solo i sogni” aggiunsi.
Mi guardò interrogativo con il volto appoggiato alla mano.
“Mi trovavo in Egitto, ero in un piccolissimo villaggio al limitare del deserto. Entrai in un minuscolo negozio di frutta e verdura per comprare qualcosa e mentre il rivenditore mi serviva, all’improvviso ebbi la precisa coscienza di non essere più io, una turista di passaggio, ma un’altra donna, una donna che viveva lì, che era nata lì e tutto, ogni cosa, mi era familiare. Nel tornare alla macchina, era il crepuscolo, sentii la voce del muezzin che aveva cominciato a chiamare alla preghiera. Volsi lo sguardo alla modesta ma suggestiva moschea e un’onda di commozione mi invase il cuore tanto che dagli occhi mi scivolavano lacrime involontarie. Questa sensazione mi accompagnò finché non uscii dal paesino e solo quando raggiunsi il villaggio turistico, uno di quei posti che trovi uguali in qualsiasi parte del mondo, ritrovai me stessa o meglio la mia realtà attuale.”
“Quello che dici non mi è nuovo” confessò il mio amico.
“Mi è capitato di sentirmi un altro in più di un occasione, uno sconosciuto dentro di me che pretendeva avere cittadinanza e che esigeva di esprimersi prendeva il mio posto con pensieri, sensazioni ed emozioni che ero certo non mi appartenessero. A volte provavo una rabbia smisurata che era senza spiegazione, altre volte provavo paure sconvolgenti per un accadimento banale.”
Mi accomodai meglio sulla poltrona per dispormi all’ascolto delle sue confidenze, ma egli non aveva altro da aggiungere, non trovava risposte per i suoi interrogativi. Allora mi decisi a raccontare la storia che fin dall’inizio avevo voluto condividere con lui.
“Vedi”, cominciai “ci sono molte cose che ci riguardano e che non ci possiamo spiegare finché ci ostiniamo a cercare le risposte nelle esperienze della nostra vita attuale, ma a volte ci sono emozioni e ferite che vengono da più lontano, da una vita che non ricordiamo se non per intuizioni e visioni improvvise, a cui non riusciamo nella nostra fisica pesantezza a dare patente di credibilità, ma talvolta accade che possiamo ricordare con precisione chi siamo stati prima di essere la persona che siamo adesso.
La nozione della mia vita precedente è cominciata con un sogno. Una ragazza si trovava in visita ad un vecchio signore. Costui aveva la casa piena di libri ed ella provava per quest’uomo un affetto e una devozione smisurati. Erano i sentimenti che di solito si provano per un maestro. Come seppi poi, era il suo professore di filosofia, facoltà che la giovane frequentava all’università. Era un uomo buono a cui ella era legata da grande amore e gratitudine. Dopo, usciva dalla casa e attraversato un cortiletto, recuperava la sua bicicletta con cui si allontanava conducendola a mano.
La ragazza aveva un vestito leggero, l’aria era dolce e la natura in fiore. Probabilmente era primavera e nulla lasciava presagire che ella si trovasse, con la sua vita appena sbocciata e ricca di promesse, sulla soglia di un abisso. Io parlo in terza persona perché nel sogno sapevo di non essere quella giovane, ma nel contempo ero io che stavo provando i suoi sentimenti e io che immaginavo la tragedia che si stava addensando sulla sua testa. Quando mi svegliai non solo ricordavo perfettamente il sogno, ma continuavo a provare con intensità i sentimenti che avevo provato nella mia esperienza onirica. Ero certa di conoscere quell’uomo, ma non riuscivo a ricordare chi era, dove e quando lo avevo conosciuto. Perché di averlo conosciuto ero sicura. Non si possono provare sentimenti così forti per qualcuno che non si conosce o che si è visto solo in sogno. Dopo essermi lambiccata il cervello a lungo dovetti giungere alla conclusione che non avevo mai conosciuto quella persona, per lo meno non in questa vita. Allora però non mi trastullavo con il concetto di reincarnazione, anzi, per la verità non ci credevo affatto e la ritenevo solo un’idea religiosa orientale. La mia ignoranza in proposito era assoluta. Per questo motivo quel sogno rimase un mistero per molto tempo.
Dovettero passare molti anni prima che mi avvicinassi gradualmente ad un modo di vedere le cose più spirituale e quindi a dare credito alle percezioni, ai sogni, alle visioni che non erano mai mancati nella mia vita, anche quando era orientata da un punto di vista razionale. Questo accadde in un periodo in cui non riuscivo più a gestire la mia rabbia, e non riuscivo a spiegarmi la profonda tristezza che mi accompagnava da sempre. Una tristezza che era molto visibile agli altri anche quando io stessa non me ne rendevo conto. Era diventata la mia seconda natura. Decisa ad alleggerirmi il cuore cominciai una sessione di meditazione che mi aiutò, ma non si rivelò sufficiente a farmi deporre la pietra che avevo sul cuore. Mi rivolsi allora a un terapeuta che lavorava con le regressioni guidate e in seguito all’autoipnosi. Entrambe le esperienze mi chiarirono le idee e mi confermarono l’una le rivelazioni dell’altra. Ed ecco quale fu la storia della mia vita precedente che ne emerse.
Ero stata quella ragazza del sogno, ma qui devo aggiungere che a quel sogno erano seguiti altri molto più inquietanti e a volte perfino spaventosi, ma tutti avevano un sapore mistico e tale fu la potenza di quei sogni che cominciai a interessarmi del misticismo e in particolare della Qabalah senza peraltro immaginare le implicazioni che queste dottrine avevano avuto nella mia vita. Secondo le rivelazioni dell’autoipnosi la ragazza si chiamava Sara Di Porto e abitava nel ghetto di Roma, aveva venti anni quando fu uccisa nel 1944 dai nazisti nel campo di sterminio di Auschwitz”.
A quel punto il mio amico che sull’argomento della reincarnazione era parecchio erudito mi interruppe dicendo: “Aspetta un attimo, se quella ragazza è morta nel quarantaquattro e tu sei nata nel quarantanove sono passati solo cinque anni, mentre il periodo che intercorre tra una reincarnazione e un’altra dovrebbe essere assai più lungo. La Bagavagita parla di migliaia di anni e altre teorie suppongono almeno un centinaio di anni, quindi tutto questo appare inverosimile.”
Ammisi che io stessa ero rimasta incredula proprio per quel particolare ed era quello il motivo per cui dopo la regressione guidata mi ero rivolta all’autoipnosi che però aveva confermato quello che già sapevo. Ed era stato a quel punto che per avere una spiegazione mi ero rivolta alla risorsa della scrittura automatica, nel cui ambito potevo fare delle domande precise.
Sempre più interessato il mio amico domandò: “E quale fu la spiegazione che ottenesti?”
Mi accesi una sigaretta e dopo aver aspirato una boccata di fumo risposi: “A causa delle violenze subite e del forte trauma, l’anima di quella giovane era inguaribile. Sapevo già per la frequentazione della scrittura automatica che le anime nell’aldilà vengono curate dagli esseri di luce, spiriti altamente evoluti che guariscono le loro ferite e che le mettono in grado di essere perfettamente felici in quel luogo meraviglioso preparandole a una nuova vita, per questo mi è apparso veramente triste che quell’anima, per inciso la mia, non potesse essere felice neppure nell’aldilà. Avevo sempre pensato che per quanto uno possa soffrire, una volta lasciato il corpo fisico, niente e nessuno potesse più togliergli la pace, la serenità e la gioia, ma così non era stato. E’ per questa ragione che ella aveva scelto di tornare così presto sulla terra, per ricominciare da capo una vita che non aveva potuto vivere.”
Il mio amico rimase per un po’ in silenzio, stava meditando sulla tristezza di quella storia.
Il temporale intanto era cessato e sulla notte era scesa la calma e la pace del silenzio. Anche il mio gatto, rassicurato, dormicchiava su un cuscino e si sentivano solo le sue rumorose e rilassanti fusa. A un tratto egli domandò: “Che cosa ha significato sapere questo per te? Ha migliorato o peggiorato il tuo stato d’animo?”
Spensi la sigaretta nel portacenere e gli sorrisi: “All’inizio ho provato dispiacere per tutto quel dolore, ma ho anche capito che ormai non mi appartiene più. E’ stato importante spiegarmi perché mi ha accompagnato sempre un’ansia e una paura irragionevole. Ho vissuto con il fiato sospeso come se fossi sempre in pericolo, come se mi aspettasse dietro l’angolo la forca, il coltello, la tortura. Ora so che non è ciò che accadrà, ma che è già accaduto e che nella mia vita devo impegnarmi a spogliarmi di quel dolore e andare oltre. In una parola posso dire di essere guarita e che tutta la mia vita sta cambiando.”
Il mio amico sorrise sollevato mentre recuperava la sua giacca. “Sono contento, è così che devi fare.”
Aprii la finestra sulla notte che magicamente riposava nel silenzio: “Ha smesso di piovere e tuonare” dissi. “Puoi uscire tranquillo.”
“Sì, il temporale è passato” rispose abbracciandomi per salutarmi.
Autore: Miryam Marino
Messo on line in data: Aprile 2020