SPIRITUALITA’ ORIENTALE: IL TAOISMO (SECONDA PARTE) di Gaetano Dini

La virtù della Té 

Portiamo ora l’attenzione alla Virtù, la “Té” del Principio, presa nel suo aspetto ordinatore.
Nell’antica lingua cinese il termine non possedeva un significato morale (un tal significato lo acquistò in epoca tarda, dopo il Confucianesimo), ma quello di potere d’azione (come nel medioevo si parlò delle “virtù” di una sostanza o di un elemento) e soprattutto di potere magico.
E’ in questo senso che si parlò dei 5 poteri “wu té” mediante i quali le dinastie cinesi regnarono.
La Té viene quindi vista come virtù, azione del Cielo. Per la presenza della trascendenza nell’immanenza, un superiore ordine si realizza nel mondo in modo invisibile e spontaneo, in un modo magico detto dal Taoismo, “non agente”.
Con questa espressione si vuole significare che non si tratta di un intervento regolatore o moralizzatore del corso del mondo, come si ha invece nella teologia teistica occidentale della Provvidenza divina, ma si tratta dell’intervento di una influenza sopraordinata, non legata a particolari fini, priva di riguardo per i singoli (è inumana, dice Lao-tze), che pur lasciando a esseri e cose la loro libertà, fa sì che l’insieme si componga in una totalità che riflette il Grande Uno, la Perfezione. L’immagine taoista a questo proposito è quella della Grande Valle, che non agisce
ma verso cui gravitano irresistibilmente fino a scenderne e confluirne, tutte le acque delle pendici.
Ci si può riferire anche ai detti di Chuang-tze: L’azione del Principio attraverso il Cielo è infinita nella sua espansione, inafferrabile nella sua sottigliezza. Del Principio si può solo dire che l’origine del Tutto, che influenza il Tutto restando indifferente.
La “Té” viene quindi metafisicamente concepito come un “potere di presenza”.

Gli Uomini Reali e gli Uomini Trascendenti, diventano portatori della Té. Allora essi agiscono senza agire, ad immagine del Tao. Esercitano un’influenza efficace ed irresistibile con la loro sola presenza, lontani da ogni fare, agire e da ogni intenzione particolare.
Da qui il passaggio dalla metafisica del Tao alla Politica secondo il Tao.
La visione d’insieme che risulta da tutto ciò è quella di un quadro cosmico complessivo composto da un inesauribile scorrere e produrre permeato dal “Vuoto” e disciplinato da una legge eterna e immutabile che attraverso la magia della Virtù (Té), opera imponderabilmente in ogni cambiamento, dirigendo senza toccare, dominando senza costringere, portando a termine senza agire.

 

La metafisica taoista

La metafisica taoista riguarda la teoria tradizionale della Diade dello Yin e dello Yang, presente già nell’insegnamento dell’Yi-ching. La manifestazione del Tao si sviluppa attraverso il gioco eterno dello Yin e dello Yang, principi opposti e insieme complementari.
Rappresentano l’eterno maschile e femminile, l’attivo ed il passivo, il Cielo e la Terra, il luminoso e l’oscuro, il creativo e il ricettivo.
Un’idea che ricorre nel Tao Té Ching è quella della conversione degli opposti: non esiste un accrescimento o sviluppo indefinito di una sola qualità. Raggiunto l’apice, si ha il trapasso nella qualità opposta.
Per esempio, una pace protratta oltre il segno sfocia nel disordine e nella guerra, l’estremo disordine produce l’ordine, all’ascesa segue la discesa.
Un punto fondamentale dell’ Yi-ching è il concetto di Mutazione.
Gli esseri e le cose appaiono, divengono, scompaiono per “mutazione di stato”. Dentro il Principio le potenzialità sono contenute allo stato preformale. Esse passano poi allo stato formale ed entrano nella corrente delle trasformazioni.
Vanno incontro così a “crisi di discontinuità” dovute ai vari cambiamenti di stato, nascere (uscire), morire (rientrare). Gli individui possono superare questa condizione di trasformazione continua quando si integrano nella trascendenza, divenendo Uomini del Tao, Uomini della Via.
Questi individui si modellano sulla Via e non su una morale umana. Uomo Reale è quindi colui che riproduce in sè la legge metafisica del Tao, colui che negandosi si afferma, svuotandosi si riempie, oscurandosi risplende, abbassandosi sovrasta.
L’Uomo Reale non agisce, cede, si ritira, si piega per assicurarsi l’iniziativa della vera azione.
Lao-tze parla di vincere senza combattere, di legare senza usar nodi, di attirare a sé senza chiamare. E’ questa la dottrina del Wu-wei, dell’agire senz’agire.

Il seguace del Taoismo deve essere l’Iniziato Sconosciuto.
Per la sua Scuola Lao-tze indicava come principale cura dei discepoli quella di tenersi nascosti, di non aver nome né fama.
La descrizione dell’Uomo Reale data da Lao-tze è quella del disprezzare i valori e le norme correnti, e “piccole virtù” del vivere sociale.
Nel Tao Té Ching si trovano delle caratterizzazioni suggestive riguardo Uomo Reale: è al di sopra dell’onore e dell’onta. Senza doveri nel mondo, è un errante straniero che assiste. Indeterminato come l’onda dell’oceano, non ama che l’altezza solitaria.
E’ dritto nel curvo, pieno nel vuoto, intatto nella corruzione. Porta vesti comuni e cela una materia preziosa. Come l’acqua è inafferrabile perché a tutto si adatta. Progredisce senza avanzare, possiede senza prendere, giunge senza camminare, vince con l’abbandonare.
E’ un essere che non offre presa mentre se vuole agire, raggiunge lo scopo senza che alcuna resistenza sia possibile.
Nel corpo di un uomo egli non è più uomo. Vive tra gli uomini ma è indifferente al loro giudizio perché non ha più i loro sentimenti. Infinitamente piccolo in quello per cui è ancora uomo. Infinitamente grande in quello per cui non è più uomo.
Porta il suo sguardo alle altezze dei cieli, negli abissi della terra e ai più lontani orizzonti senza che il suo spirito si commuova.

L’altro tipo dell’iniziato taoista corrisponde a colui che in determinate società manifesta la sua grandezza interiore nell’esercizio di funzioni sociali. Per il taoista, la perfezione della società si realizza quando i Diecimila Esseri non sanno di essere governati.
Questa concezione rappresenta l’opposto della filosofia occidentale di governare mediante il razionalismo, l’organizzazione, la coercizione.
Tutto per il taoista deve ordinarsi da sé, vanno solo attivate azioni propiziatorie degli sviluppi naturali. E’ questa l’applicazione della dottrina orientale della Grande Triade, l’Uomo concepito come terzo potere tra Cielo e Terra.
Per governare non sono necessarie azioni specifiche materiali, si deve possedere e alimentare la Té, la Virtù.
Allora il sovrano irradierà un’influenza che risolve tensioni, che modera, che compone.
Il vero sovrano incarna il non agire, l’impassibilità, il distacco da desideri di grandezza, neutrale come lo è il Principio.
Così i Diecimila Esseri vivranno nella loro semplicità originaria, si atterranno alla loro natura, astenendosi dall’estroversione, dall’agitazione, dall’individualismo. Lao-tze dice di riprendere la propria dottrina da testi ortodossi più antichi, fino a quello attribuito
a Fo-hi (3468 a.C.).

L’altro maestro taoista è Chuang-tze, posteriore a Lao-tze di circa 250 anni.
Riferito agli iniziati, dice che essi devono completare sette tappe: 1) staccarsi dal mondo esteriore;  2) staccarsi dalle cose vicine; 3) staccarsi dalla propria esistenza; 4) interviene allora un’intuizione chiara, come luce del mattino; 5) giunti a tanto, si percepisce l’Uno; 6) percepito l’Uno, cade la distinzione tra passato e presente; 7) dopo di ciò, si compie il Mistero. Ci si unisce al Principio.
Si legge: aveva ucciso la vita eppure non era morto, viveva la vita eppure non era vivo. Era così abbracciato dalla calma e dalla perfezione.

A chi si avvicinava a Ciuangzè poteva capitare come al filosofo Cungsunlung, il quale confidava a un amico: “Le parole di Ciuangzè mi hanno sconcertato. Non so se egli non è capace di esprimere correttamente il suo pensiero o se la mia intelligenza non può seguirlo“.
Il Savio che segue la legge del Tao non si propone fini personali.
Nei tempi antichi il popolo non sapeva, non si accorgeva di essere governato. Nell’età successiva conobbe i principi, li amò e li odiò. Nella successiva ancora, li odiò. Gli antichi reggitori agivano senza agire, con semplice spontaneità, senza presumere. Compivano i propri fini senza adoperarvisi.
Le mie parole, diceva Lao-tze, sono facili da apprenderle, facili da mettere in pratica. Ma non c’è nessuno al mondo capace di apprenderle e di metterle in pratica.
Il Savio è indifferente a tutto, ama senza amore e tratta tutti come i suoi figli. Chi nell’azione vede l’inazione e nell’inazione l’azione, è saggio tra gli uomini. Far nulla ha un senso metaforico nel Tao, è l’azione nella grazia, nella semplicità del fanciullo, spontanea e senza proposito personale, libera e non imposta dall’esterno.

Lao-tze insegna a Confucio che è accompagnato spesso dal suo discepolo prediletto Ien Hui.
Il pensiero di Confucio non è profondo. Ebbe il merito di predicare di stare dentro l’Invariabile Mezzo. Possedeva un ideale di onestà, rispetto delle tradizioni, degli antichi riti e cerimonie.
Confucio riferisce ai suoi discepoli: “Ho visto Lao-tze, è pari al Drago che sale al cielo e non lo comprendo“.
Fin da bambino Confucio aveva la passione dei riti e giocava con i vasi sacrificali. Tutto per lui era cerimonia e rito.
Aveva le norme per un contegno verso il principe, un contegno verso i superiori, verso gli inferiori. Misurava tutto; i gradi di affezione verso i parenti, i gradi di riverenza verso i savi, tutto determinato dalle leggi di relazione.
Il mondo spirituale di Confucio era composto da forme, cerimonie, urbanità. Confucio non sedeva se la stuoia era non era collocata secondo le prescritte regole. Non mangiava se le vivande non erano tagliate a regola. La sua camicia da notte doveva avere una volta e mezzo la lunghezza del suo corpo.
Introducendo gli ospiti al principe Lu, faceva rapidi passi tenendo le mani giunte e le braccia un poco tese così che la tonaca davanti e dietro rimaneva composta.
Dei maestri taoisti Confucio dice: camminano fuori delle regole, io cammino dentro le regole.
Come potrebbero curarsi delle cerimonie del mondo per far piacere alla gente?
Quando Confucio visita Lao-tze, il maestro dice: Amare tutti. Non è stravagante?
Considerare il disinteresse come dovere, questo appunto dimostra che si è interessati.
Lao-tze disse ai discepoli: Io non vorrei parlare. Se voi non parlate, quali insegnamenti potranno essere trasmessi? Rispose loro il maestro: Forse che il Cielo parla? Le quattro stagioni seguono il loro corso
e tutti gli esseri ricevono la loro esistenza.
E’ detto nel primo capitolo dell’Invariabile Mezzo “Niente è più palese di ciò che è nascosto, niente
è più evidente di ciò che è misterioso.

Ciuangzè, ricordando la morte di Lao-tze, muove però un appunto al grande maestro: che abbia ispirato troppo amore ai discepoli, come si vede dal loro pianto per la sua morte?
Per attaccarli così bisogna che egli abbia detto parole che non doveva dire e pianto lacrime che non doveva piangere.
La patria di Ciuangzè, vissuto circa 250 anni dopo Lao-tze, era Meng situata nell’antico stato di Vei di cui la capitale era Liang, sull’Ho (Fiume Giallo) nello Sciantung occidentale, nell’estremo sud dell’odierno Hopei.
Ebbe moglie, morta in tarda età, ebbe figli. Fu a capo della Libreria Reale di Ciou, un modesto impiego. La maggior parte degli anni la passò libero in povertà. Ai messi del re Vei, venuti ad offrirgli la carica di primo ministro, risponde continuando a pescare che preferisce trascinare la coda nel fango come fanno le tartarughe piuttosto che essere onorato a Corte.
Diceva infatti: “Chi rinuncia a cariche ed onori è come se gettasse via fango, poiché il suo Io è più nobile di cariche ed onori. La nobiltà dell’Io non va perduta per cambiamenti esteriori“.
Il Saggio ha una predicazione muta mediante l’insegnamento della virtù nascosta. Anche se il Saggio non parla, egli disseta gli altri con la sua armonia spirituale. Questa armonia e letizia conservare sempre. Mostrare al mondo questa primavera, essere pronto per ogni tempo ed esperienza, questo mostra che le doti sono complete. Voler cercare solamente il giusto e non l’ingiusto, l’ordine e non anche il disordine, mostra difetto di cognizione, dice Ciuangzè.

Per la propria morte, Ciuangzè lasciò queste disposizioni:
– Terra e Cielo saranno la mia bara ed il mio coperchio.
– Sole e Luna i miei simboli di giada.
– Le Stelle e le Costellazioni le mie perle e i miei gioielli.
– E tutto il Creato assisterà.
– Non è un funerale completo?
– Restare sopra, essere messo sotto terra.
– Sopra mi mangerebbero corvi e nibbi, sotto mi mangerebbero grillitalpa e formiche.
– Togliere agli uni per dare agli altri sarebbe mostrare parzialità.

 

La via del Taoismo

I grandi filosofi, i capi scuola cinesi, al posto di porsi come iniziatori e di cercare di distinguersi, si dichiarano modestamente fratelli cadetti dei grandi maestri del passato e rispettosi continuatori dei loro insegnamenti. Invece di pretendere di apportare nuove dottrine, essi dichiarano di apportare un adattamento adeguato all’epoca in cui vivono. Questi iniziati appaiono quindi come incarnazioni successive di una stessa dottrina la quale non essendo mai cambiata dall’inizio dei tempi, è molto semplicemente la Verità.
Questi iniziati sono stati, in vita, semplici burocrati del loro apparato governativo, vivendo e morendo tranquillamente e semplicemente in un calcolato allontanamento dal rumore, dagli onori e dalle tragedie. La loro esistenza è così monotona, così priva di bagliori e di circostanze speciali, che la loro biografia si riassume in poche righe.
Lao-tze nacque il 14° giorno del 7° mese del 3° anno dell’imperatore Tingwang, della dinastia Tshou, cioè il 54° anno del 34° ciclo (nel 604 a.C.).
Una leggenda narra che la madre di Lao-tze rimase incinta a seguito dell’emozione che provò vedendo una stella cadente, ricevendo dal cielo il soffio vitale. Sua madre lo portò in grembo per 72 anni. Nascendo Lao-tze aveva già i capelli bianchi. Dal momento della nascità fu dotato dell’intuizione divina.
Compose 930 libri per insegnare a vivere. Vi è trattato delle nove ambrosie, delle otto pietre meravigliose, del vino d’oro, del succo di giada, dei modi per conservare la primitiva purezza, per conservare l’unità, per risparmiare le forze, per purificare il corpo, per allontanare le calamità,
per domare i demoni, per trionfare sul male, per sottomettere alla propria volontà gli spiriti maligni.
Scrisse anche a proposito di talismani.
Visse per più di 300 anni ed ebbe al proprio servizio per due secoli il discepolo Siou-Kia al quale comunicò come fece con il mandarino Inhi, il segreto dell’immortalità.
Era originario del villaggio di Khio-jin, comune di Lai, distretto di Khoukien o Khouyang, regno di Tsou (coincide con la provincia di Koueifou, viceregno di Honan). Il suo nome di ceppo era Li; il suo nome Eul; il suo nome onorifico era Peyang; il suo nome postumo Tan.
Lao-tze è il soprannome che gli diedero i suoi discepoli (vecchio dottore). Occupò la carica di custode degli Archivi. Servì a lungo sotto la dinastia Tschou. Vedendola decadere si dimise dal suo incarico e si ritirò al limite del regno sul colle Hankouglouan.
Compose per il capo di quel distretto, Inhi il libro sulla Via e sulla Virtù. Poi si allontanò non si sa né dove, né come finì i suoi giorni.
Una tradizione racconta che dopo aver passato la porta di Hankou Lao-tze abbia viaggiato in Persia, Battriana finendo la sua vita in solitudine sugli altipiani tibetani. Era un saggio che amava l’oscurità.

Si conoscono solo 5 generazioni della famiglia di Lao-tze: suo figlio Tsong fu generale del vicerè di Wei; il figlio di Tsong fu Tchou; il figlio di Tchou fu Kong; il figlio di Kong fu Hia che l’imperatore Hiaowenti, degli Han, chiamò a corte (179 a.C.). Hia ebbe un figlio Kiai il quale fu ministro del vicerè Khiang di Kiaiosi. Dopo di lui la discendenza di Lao-tze soarisce dalle cronache.
Lao-tze aveva 70 anni quando iniziò il suo libro sul Tao. Ebbe 12 discepoli, la maggior parte dei quali furono discepoli intellettuali, non conoscendolo direttamente e vissero dai 100 ai 150 anni dopo la sua scomparsa.
Il più celebre di loro è il filosofo Sichoei.

L’insegnamento di Lao-tze è originato dalla tradizione primordiale la cui espressione più autentica
è l’Yiking. Sprezzante di tutto quello che è meraviglioso e miracoloso, abbandonato ironicamente ai giocolieri di fiere ed agli pseudodottori, Lao-tze nacque visse e morì come un uomo.
La sua incrollabile semplicità, la sua altera umiltà lo legavano indissolubilmente alla normalità del suo destino. Lao-tze seppe che era un uomo e non volle passare per altro che un uomo. Ma sapeva anche qual’è la potenza della trasformazione iniziatica che produce sull’uomo il lavoro intellettuale, il desiderio della conoscenza totale. Egli tese verso questa trasformazione e la raggiunse. Nel momento in cui riconobbe di averla raggiunta, sparì.
Lao-tze chiese alla sua volontà applicata alla scienza, quelle qualità sovrumane che non voleva avere ricevute dalla nascita, per opera di un capriccio di un dio. E’ solo a se stesso che dovette i doni che gli valsero il suo sapere iniziatico.
Ottenuta la Conoscenza, Lao-tze si allontanò dai suoi simili, ritenendosi da qual momento inutile alla folla. In effetti colui che ha raggiunto la cima della saggezza, non è più abbastanza uomo da poter essere d’aiuto agli altri uomini.
La saggezza media si può ottenere con la propaganda e l’insegnamento e colui che la professa può ottenere una notevole reputazione nel mondo e presso i governi ma questa fama è un ostacolo insormontabile alla propria perfezione interiore e alla propria ascesi.
L’incontro di Confucio con Lao-tze è storicamente avvenuto e redatto in maniera identica dai vari scrivani e storici cinesi.
Khongtseu volle conoscere personalmente questo uomo straordinario. Si recò da lui e lo interrogò sul fondamento della sua dottrina.
Invece di rispondergli Lao-tze lo rimproverò dicendogli che era troppo proiettato all’esterno, che il suo comportamento aveva sentore di fasti e vanità e che il numeroso stuolo dei suoi discepoli serviva più a sostenere l’orgoglio del suo cuore che a farvi nascere l’amore per la saggezza.
Il saggio, disse il maestro, ama l’oscurità. Lungi dall’ambire gli impieghi li rifugge, persuaso che nel mondo lascerà solo le buone massime che avrà insegnato a coloro che erano idonei ad apprenderle. Egli non si dona al primo venuto, tiene conto dei tempi e delle circostanze.
Colui che è veramente virtuoso non fa mostra della propria virtù.
Ecco tutto ciò che ho da dirvi, fatene profitto!

Questo discorso severo, che Confucio ascoltò con una pazienza e una gratitudine che fanno onore alle sue virtù domestiche, indica il riserbo quasi selvaggio e l’austerità sapienziale nei quali Lao-tze si era confinato.
L’incontro tra i due saggi, evidenzia non divergenze sulle idee primordiali ma piani diversi di applicazione di queste idee e la incontestabile superiorità di Lao-tze al quale Confucio rende peraltro umile e completo omaggio.
La trasposizione sul piano storico politico di queste due dimensioni del sapere, portò alla nascita della scuola confuciana e di quella taoista.
Per esagerazione delle loro qualità di fondo, i confuciani si distinsero per eccesso di propaganda, i taoisti per eccesso di isolamento.
Offerto in società, il confucianesimo ebbe come proseliti piccoli letterati, fini dissertori, eloquenti, avidi e sicuri di giocare un ruolo nello Stato.
Questi letterati diffondevano nel popolo dei precetti saggi e gentili dai quali dovevano trarre un utile personale.

Riservato a una minoranza scelta, il Taoismo ebbe come adepti saggi prudenti, disinteressati, solitari e senza eloquenza, comunicando senza predicarle e raccomandarle delle leggi superiori che essi portarono a conoscenza dei mandarini di primo rango, vicini al trono imperiale.
I sovrani del II e III sec. a.C. videro nelle dottrine confuciane il pericolo di subire la divisione dell’impero in tanti stati feudatari che dovevano essere assegnati ai letterati depositari della scienza; videro nelle dottrine taioste il pericolo dell’esaltazione e consacrazione dei valori della stirpe, della famiglia cinese, proveniente da un principio unico di autorità celeste.
L’incendio dei libri e la proscrizione dei letterati, attribuita al sovrano Tsinchihoangti, deve essere restituito però alla sua autenticità storica.
L’editto di proscrizione dei letterati ad opera del primo ministro mandarino Lisse, la limitava a quei letterati e dottori che fomentavano i disordini e gli omicidi. L’editto d’incendio inoltre risparmiava tutti i libri della tradizione primordiale, tutti i libri di Lao-tze, tutti i libri di Confucio, tutti i libri sacri e dogmatici e tutti i libri che non trattavano di politica in modo fazioso.
Sotto la successiva dinastia dei Tsin il Taoismo portò alla nascita del “Wouweikiao o Società del Grande Vuoto” che considerava gli onori e gli attaccamenti terreni cose vane e indegne degli uomini.
Gli imperatori cinesi delle epoche successive, compresero che le dottrine di Lao-tze e di Confucio dovevano essere insegnate parallelamente, le prime ad un numero ristretto di persone le seconde al popolo.
L’orientalista Pauthier descrive la dottrina di Lao-tze come un Cristianesimo primitivo.Un missionario cristiano, padre Huc, descrive Lao-tze come un precursore degli Esseni dei quali Gesù fu il divulgatore.
Il Khien o Volontà celeste non manifestata, è il primo esagramma di Fohi, è la base dell’Yiking.
Nella scienza dei numeri è lo Zero, cioè l’Essere ed il Non Essere, la perfezione avente la potenza di generare ma non generante. Il Tao rappresenta la modifica, la trasformazione dovuta all’Attività.
Nel Tao il Cielo conferisce, i Diecimila Esseri ricevono. Il Tao del Cielo e della Terra è permanente, esso mantiene l’estrema Armonia.
La dottrina di Fohi è quella di Lao-tze. Fohi si esprime con una sintesi universale, Lao-tze con un esoterismo ascetico. Ma con passo uguale i due saggi camminano nella stessa Via del Cielo.

 

Bibliografia
Evola Julius – Introduzione al Tao Té Ching,  Edizioni Mediterranee, Roma
Ciuang Zè – Acque d’Autunno, Introduzione di Mario Novaro, Edizioni Laterza, Bari
Matgioi – La Via Taoista, Basaia Editore, Roma

 

Autore: Gaetano Dini
Messo on line in data: Aprile 2020