LA ROCCA DI SAN LEO E CAGLIOSTRO di Devon Scott

La fortezza di San Leo

Il 21 aprile del 1791 Cagliostro, affacciato al finestrino della carrozza che lo trasportava, vide per la prima volta San Leo, una fortezza che si ergeva su di un picco scosceso nella regione del Montefeltro, vicino a Urbino. Altri, prima di lui, avevano posato gli occhi sullo stesso spettacolo: Dante Alighieri aveva paragonato la rocca a un girone dell’Inferno; Francesco d’Assisi, turbato dal dolore delle persone che vi erano state rinchiuse, ne aveva tratto ispirazione per una accorata e commovente predica sulle pene che ogni uomo è costretto a sopportare durante la sua vita.

Cagliostro non arrivava a San Leo da uomo libero, come Dante e San  Francesco. Vi arrivava scortato da un manipolo di guardie, dopo la sua condanna di fronte al Tribunale dell’Inquisizione: la Rocca di San Leo sarebbe diventata la sua ultima dimora terrena.
Ma lo fu poi davvero? E che cosa c’entra con lui il palermitano Giuseppe Balsamo, con il quale fu sempre identificato?


Nella foto, la Rocca di San Leo (1)

Alessandro, conte di Cagliostro, nacque a Medina nel settembre del 1749, da una famiglia di origine portoghese. I genitori morirono quando il figlio aveva tre mesi; lasciato alle cure della bambinaia e dei parenti, il piccolo ebbe una vita normale fino a quando, a dodici anni, gli diedero un precettore che lo portò in giro per il Mediterraneo, l’Oriente e l’Africa del Nord, cercando di aprirgli la mente con i viaggi e con la conoscenza di altri popoli e dandogli contemporaneamente un insegnamento di tipo iniziatico che segnò a vita il ragazzo.
Appena ventenne, Cagliostro si recò a Roma; qui fu ricevuto nelle case dei nobili della capitale e divenne amico del papa Clemente XIII, che morì nello stesso anno, il 1769. Qui egli sposò nel 1770 una fanciulla sedicenne appartenente ad una famiglia della piccola nobiltà decaduta, Serafina Feliciani. L’anno seguente Cagliostro e la moglie lasciarono Roma per Londra, dove egli compose un rituale di quella che chiamò “Massoneria Egizia“, che si proponeva di unificare le diverse tradizioni esoteriche.

Cagliostro rimase a Londra fino al 1777, poi girò l’Europa e infine si trasferì a Parigi nel gennaio del 1785, dove fu ospite del cardinale-principe Luigi Renato Edoardo de Rohan, con il quale intratteneva da tempo una nutrita corrispondenza sui temi esoterici che appassionavano entrambi. De Rohan e Cagliostro furono coinvolti nel famoso “affare della collana”.
Maria Antonietta si era innamorata di una stupenda collana con più di seicento diamanti purissimi, dal prezzo iperbolico. Una sollevazione popolare le impedì l’acquisto, ma una gentildonna della sua corte, la contessa Jeanne de La Motte, convinse il cardinale de Rohan, desideroso di rientrare nelle grazie della regina (che lo odiava), che il dono della collana avrebbe reso la donna più disponibile.
All’apparire della collana al collo di Maria Antonietta, lo scandalo scoppiò. La contessa, per difendersi, incolpò di tutto Cagliostro e il cardinale, che finirono alla Bastiglia. Un clamoroso processo dimostrò l’innocenza di Cagliostro e coprì di ridicolo la regina. Cagliostro fu scarcerato, però la regina pretese che il conte fosse buttato fuori dalla Francia ed egli se ne tornò a Londra con la moglie.
Ma il libellista Theveneau de Morande, che si era già distinto per numerosi sconci poemetti satirici contro il precedente re Luigi XV, imbastì un’abile campagna di diffamazione contro Cagliostro, per la quale fu assoldato l’avventuriero siciliano Giuseppe Balsamo, il cui nome fu, da allora, indissolubilmente legato a quello di Cagliostro.

Giuseppe Balsamo nacque a Palermo da una famiglia che vantava lontane origini nobili, ma molto impoverita; a tredici anni il ragazzo fu mandato nel convento dei Fatebenefratelli di Caltagirone, dove si distinse per il carattere ribelle e l’intelligenza pronta. Nel 1758 fuggì e tornò a Palermo, dove si mise a vivacchiare facendo piccole truffe e spacciandosi per mago.
Trasferitosi a Roma, incontrò, tra le prostitute che frequentava, la bella Lorenza Feliciani, di appena quattordici anni, che poi sposò. Accusato di aver falsificato dei titoli di rendita, Balsamo lasciò in tutta fretta la capitale e cominciò a viaggiare con la moglie per l’Europa; fu a Londra nel 1772, tirando avanti a stento facendo il pittore di quadri di scarso talento. Quando Balsamo era alla disperazione per mancanza di denaro, usava le grazie della moglie per risollevare le finanze di famiglia; uno dei metodi che usava era di organizzare un incontro galante fra Lorenza ed un ricco amante, piombando poi a sorpresa e ricattando il malcapitato di turno, che pagava per evitare lo scandalo.
Imprigionato per debiti, Balsamo fu liberato per intercessione di un gentiluomo, a cui tentò poi di violentare la figlia; fu costretto a scappare in Francia, poi in Sicilia, quindi in Spagna, sempre fuggendo per evitare condanne per truffa. Di lui non si sentì più parlare fino al 1789.

Nel maggio del 1789 Cagliostro arrivò a Roma per fondare una loggia massonica di rito egiziano. Il 14 di luglio un gruppo di parigini assaltò la Bastiglia; fu poi approvata la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, che esaltava la libertà personale e i diritti di ogni uomo, su modello della dichiarazione d’indipendenza dei ribelli delle colonie dell’America del Nord.
Il papa Pio VI condannò violentemente il documento e non fu affatto felice di apprendere che il motto coniato da Cagliostro per le sue logge massoniche, “Liberté, egalité, fraternité“, era diventato lo slogan dei rivoluzionari francesi.
Il 27 dicembre 1789 Cagliostro fu arrestato per ordine del Santo Uffizio sotto il nome di Giuseppe Balsamo e rinchiuso a Castel sant’Angelo.
Gli interrogatori durarono per mesi, fino all’aprile del 1791, quando fu emessa la sentenza definitiva di condanna: Cagliostro fu portato a San Leo, Lorenza Feliciani fu rinchiusa nel monastero di Santa Apollonia, da cui uscì dopo l’invasione francese.
Un mese dopo fu pubblicato il Compendio, un libro pesantemente diffamatorio, scritto da Monsignor Barberi, che identificava Balsamo con Cagliostro e faceva accuse di truffa, furto, ricatto, stregoneria, alchimia, commercio col diavolo, affermando che il denaro che il conte così generosamente elargiva arrivava dalla prostituzione della moglie.

A San Leo egli fu rinchiuso prima nella cella detta “del tesoro”, poi, dopo un tentativo di evasione, in quella del “pozzetto”, in cui fu praticamente murato vivo. La cella aveva una sola apertura sul soffitto e vi si poteva accedere soltanto dal pavimento della stanza sovrastante; il carcerato era sorvegliato a vista.


Nella foto,
la “Cella del Pozzetto”

Dalla sua prigione Cagliostro per due volte salvò la vita al papa, la prima volta “vedendo” con la mente una fanciulla vestita da paggio che voleva accoltellare il pontefice, la seconda mettendolo in guardia da un tentativo di avvelenamento. Per queste azioni egli chiese in cambio la grazia di uscire dalla cella per pochi minuti: la grazia non gli fu mai accordata, però il papa non ebbe neppure il coraggio di firmare la sentenza di morte, nonostante il segretario di stato lo sollecitasse ogni giorno a porre fine alla vita del mago.

Cagliostro morì ufficialmente nel 1795 per un colpo apoplettico. Il suo atto di morte (consultabile presso il museo della Rocca) dice così:

Nell’anno del Signore 1795, il 28 di agosto. Giuseppe Balsamo, noto con il nome di conte di Cagliostro, palermitano di nascita, cristiano per battesimo, miscredente, eretico, famoso per cattive dicerie, dopo aver diffuso in tutta l’Europa l’empia dottrina della Massoneria di Rito Egiziano, a cui iniziò con l’autorità della sua parola una innumerevole massa di adepti poco illustri, sopportò molti pericoli, dai quali uscì sempre incolume grazie alla sua scaltra esperienza.
Condannato finalmente, per sentenza della Santa Inquisizione, a vivere in carcere perpetuo nella Rocca di Città (nella speranza che si ricredesse), dopo aver sopportato con uguale ostinazione per quattro anni, quattro mesi e cinque giorni le sofferenze di un carcere durissimo, consumato infine da una forte apoplessia a causa della caparbietà delle sue idee e del suo cuore indomito, senza aver dato il minimo segno di pentimento e senza aver emesso alcuna implorazione, muore scomunicato all’età di cinquantadue anni, due mesi e diciotto giorni. Nasce infelice, vive più infelice ed infelicissimo muore il 26 agosto dell’anno suddetto, verso le ore tre dopo la mezzanotte.
In quel giorno furono indette pubbliche preghiere, se mai il misericordioso Iddio lo salvasse dalle fiamme.
A lui eretico, scomunicato impenitente, viene negata la sepoltura ecclesiastica. Il suo cadavere viene seppellito sul ciglio del monte che guarda a occidente, a uguale distanza fra le due torri destinate alle sentinelle, comunemente note come Palazzetto e Casino, sul terreno della Reverenda Camera Apostolica, il giorno del suddetto mese, alle ore 23. In fede a quanto scritto, Aloisio Marini, Arciprete“.

Una o due persone?

Balsamo e Cagliostro erano la stessa persona o due persone diverse?
Anche i suoi contemporanei avevano dei dubbi: Lavater giudicava Cagliostro “un santissimo uomo” ed era convinto che vi fossero due uomini ben distinti; Goethe, all’inizio grande ammiratore del conte, poi cambiò idea e ne parlò come di un abilissimo impostore.
A più di duecento anni di distanza una verità che sia del tutto inconfutabile non è ancora venuta alla luce; restano invece mille interrogativi, ai quali non è facile dare risposta.
L’unica cosa certa è che Cagliostro fu accusato ufficialmente delle malefatte di Balsamo e non gli servì a niente negare ripetutamente di essere Balsamo. E neppure gli servì dimostrare che, mentre lui e la moglie parlavano e leggevano diverse lingue, Balsamo era uomo di non vasta cultura e Lorenza Feliciani addirittura analfabeta: com’era possibile che la contessa di Cagliostro tenesse conferenze sulla massoneria egizia come Maestra di Loggia, scrivesse in inglese, francese, italiano e spagnolo ad amici in tutta l’Europa, poi si trasformasse nella signora Balsamo, che non sapeva neppure scrivere il suo nome?

I suoi difensori osservano inoltre che Balsamo era un piccolo truffatore e un ladro, che viveva di espedienti, sempre pronto a estorcere quattrini alle sue vittime, mentre Cagliostro donava continuamente, con immensa generosità, oro a tutti.
Anche la morte di Cagliostro è ancora un mistero; alcune prove lasciano pensare che egli fuggì, come alcune lettere riconosciute scritte di suo pugno dopo la data della presunta morte, che commentavano fatti avvenuti mesi dopo, tra cui le leggere scosse sismiche sentite nel Montefeltro e registrate dalle cronache locali. Certo è che la sua tomba, che i documenti ufficiali localizzano in un punto abbastanza preciso, in realtà non esiste.
Il conte fu immortalato in numerose stampe, ritratti e anche nel celebre busto di Jean-Antoine Houdon (National Gallery of Art), che sulla base reca incise queste parole:

Questi sono i tratti dell’amico dell’umanità,
tutti i suoi giorni furono spesi a far del bene,

egli allunga la vita e soccorre i bisognosi,
il piacere di essere utile è la sua sola ricompensa.

Autore: Devon Scott
Messo on line in data: Dicembre 2000
Per la foto 1 si ringrazia la ditta Marchi&Marchi, Forlì.