DOTTRINA DEI ROSACROCE di Redazione

Speciale Società Segrete e Iniziatiche: la dottrina dei Rosacroce

Quali sono i concetti base esposti nei tre testi rosacrociani, a cui ancor oggi i fratelli dell’Ordine fanno riferimento? Vediamoli nei dettagli.

 

La Fama Fraternitatis
Questo testo rappresenta un’accusa manifesta ai costumi dell’epoca ed ai vizi delle autorità religiose e politiche. Il manifesto lancia le sue critiche roventi prendendo a confronto l’esperienza iniziatica di Cristiano Rosenkreutz ed il suo atteggiamento, devoto alla conoscenza del senso della vita. Vi si racconta che Cristiano avesse viaggiato attraverso numerose città del mondo. A Damcar, alcuni sapienti gli avevano tramandato importanti nozioni di fisica e matematica ed egli aveva appreso la lingua latina; a Fez – cittadina del Marocco nota, all’epoca, per la ricchezza di biblioteche e luoghi di cultura – affinò le sue conoscenze in ambito scientifico e, contemporaneamente, esoterico; in Spagna cercò di comunicare agli intellettuali e agli uomini di scienza le conoscenze acquisite in viaggio ma, costretto a scontrarsi con l’accidia e l’indifferenza di quella gente, tornò in Germania, dove cercò di redigere un compendio del suo sapere e vi fondò un gruppo.

Questo fu formato, inizialmente da tre persone, ma si allargò, poi, nella famosa fratellanza della Rosa-Croce che si riuniva in una casa chiamata “la dimora dello Spirito Santo”. In Europa, quindi, il maestro dei Rosacroce finì i suoi giorni, all’età di centosei anni. Sempre nella Fama, si parla del ritrovamento della tomba di Rosenkreutz, avvenuta in circostanze misteriosissime e sul cui sepolcro si racconta fosse scritto: “Mi riaprirò tra centoventi anni”, data esatta del rinvenimento (1604).
Il manifesto si propone, quindi, come una promessa di avvento di una nuova era per l’umanità: così come i fratelli Rosacroce nel 1604 hanno riscoperto la tomba del loro progenitore, così il genere umano è destinato ad aver l’accesso ad un nuovo modo d’esistere, grazie all’ausilio delle conoscenze segrete, tramandate da Rosenkreutz. È il tempo della Riforma generale divina ed umana, alla base della quale c’è Dio in tutto il suo splendore. Il sapere a cui la Fama rimanda continuamente è, infatti, una forma di conoscenza che deriva direttamente da Dio ed è quella che “… Adamo ereditò dopo la caduta”; in onore a tale sapere, la Fama invita gli uomini di scienza – la conoscenza è potere – e gli uomini di potere a deporre i propri egoismi e ad unirsi alla Confraternita Rosacrociana. In che luogo ed in che modo non è dato, però, sapersi. Il manifesto insiste, infatti, sulla necessità di mantenere segreto il nome della dimora che deve restare intatta ed incontaminata; provvederanno i fratelli, aderenti direttamente al gruppo e mescolati tra la gente, a far pervenire gli intenti e le opinioni dei seguaci all’Assemblea della Confraternita.
I rimandi alla figura di Paracelso, nella Fama, sono numerosi, ma si riverberano soprattutto nella concezione dualistica dell’universo, suddiviso in un microcosmo abitato dagli esseri umani e speculare del macrocosmo, abitato da Dio e dalle sue eminenti schiere. Il manifesto fonda, così, l’embrione di tutta la filosofia rosacruciana a venire: l’uomo ha accesso alla conoscenza di Dio, del senso della vita e della morte, perché tale conoscenza risiede in sé, come traccia indelebile di matrice divina.

 

La Confessio Fraternitatis
Il testo giunge al pubblico europeo nel 1615, esattamente un anno dopo la pubblicazione della Fama. Così come essa era stata pubblicata a seguito di un altro testo – Ragguagli di Parnaso–, così la Confessio segue un documento dal titolo Breve Considerazione della più Segreta Filosofia, scritta da Philippo a Gabella, studente di filosofia, pubblicato per la prima volta con la Confessione della Fraternità R.C., aggiornata. A differenza del primo manifesto, la Confessio risulta scritta in toni sicuramente più cupi ed allarmisti. L’eco del millenarismo, le paure riposte nella fine del millennio, i rimandi pedissequi ad una millantata fine del mondo caratterizzano questo testo dal forte sapore esoterico.
Gli accenni alle teorie di Paracelso si fanno più pressanti: i Rosacroce affermano di essersi manifestati al fine di salvare l’umanità dalla perdizione e condividere coi propri fratelli esseri umani la conoscenza di Dio, ottenuta da Rosenkreutz lungo i suoi viaggi – simbolo di un’esperienza esplorativa nelle viscere del sé – ed attraverso l’illuminazione di angeli e spiriti di luce. Si fa riferimento al Liber Mundi, testo sacro per eccellenza che viene dopo soltanto alla Bibbia. Il Libro del Mondo altro non è che un codice stabilito da Dio e racchiuso in Natura. La Confessio lancia l’idea secondo cui nel cielo, nei pianeti, nell’humus ed in ogni elemento della Natura sia racchiusa una lettera facente parte di un linguaggio più ampio, universale, attraverso cui Dio parla agli uomini e svela i propri misteri. La vivificazione della Natura ed il trasmutarla da mero ingranaggio di leggi in un vero e proprio essere vivente è un’attitudine squisitamente paracelsiana. Ma la Confessio non si limita a questo: va oltre. Condanna aspramente il Papa, lo accusa di corruzione e mal intenti. Ne presagisce la caduta e la fa coincidere con l’inizio di una nuova epoca. Insiste, quindi, sulla necessità di una lettura disincantata e quanto più accurata possibile della Bibbia, che troneggia tra gli strumenti lasciatici da Dio per accedere alla verità; contemporaneamente, ammonisce coloro che si manifesteranno affini al pensiero rosacrociano nella speranza di trarne un semplice profitto economico.

 

Le Nozze Chimiche di Christian Rosenkreutz
Questo rappresenta il terzo e, forse, più importante manifesto rosacrociano. Molto diverso, per stile e contenuti, dai due che lo precedono, la sua natura si esplica già nel titolo dell’opera. Il lettore presagisce che non vi leggerà il racconto di un vero e proprio matrimonio, bensì qualcosa che va al di là del senso immediato della parola e che rimanda, in tutta probabilità, al simbolismo alchemico di cui il testo appare intriso. Si tratta, di nuovo, di un racconto iniziatico che sottende un’esperienza esplorativa del protagonista e si chiude, come in un cerchio, al suo punto d’inizio, con la conquista di uno “scettro”. Il linguaggio è fortemente simbolico ed allegorico, nel perfetto stile del tempo.
La storia narra dell’invito fatto a Cristiano Rosenkreutz di partecipare alle nozze del re e della regina. Il protagonista vive, così, un’avventura della durata di sette giorni durante i quali, però, non assiste al matrimonio regale, bensì al taglio della testa dei re, al loro magnificente funerale ed alla deposizione dei loro corpi in una torre a sette piani: la Torre dell’Olimpo. Il seguito del racconto è la descrizione di un procedimento attraverso il quale gli invitati alla cerimonia, ascendendo i sette piani della torre, partecipano ad una vera e propria trasformazione alchemica: dalle spoglie del re e della regina ottengono un liquido atto ad originare un uovo dal quale nasce un uccello che viene cresciuto, decapitato – alla stregua di quello che era successo ai due sovrani – e ridotto in cenere. Questa fase del procedimento sembra richiamare all’inverso gli episodi precedenti, in cui il re e la regina – due entità distinte e separate (vedi la distillazione delle spoglie) – avrebbero dovuto unirsi (vedi l’uovo unificatore delle due essenze), ma vengono decapitati (vedi l’esecuzione dell’uccello). Dai resti dell’uccello, infine, vengono create due statuine che sono cresciute fin quando non raggiungono l’età adulta e, solo allora, vivificate da una fiamma rigeneratrice. Il re e la regina tornano, così, a vivere. È facile constatare come, quest’ultimo passaggio, richiami alla mente la creazione di Adamo, descritta nella Genesi (il plasmare la materia amorfa e darle vita, attraverso il soffio divino). Il racconto si conclude con la nomina di Cristiano e dei suoi compagni a Cavalieri dell’Ordine della Pietra d’Oro.

Le Nozze Chimiche è un manifesto imbevuto di simbolismo esoterico, costruito probabilmente in base ad un progetto ben definito: quello di risvegliare l’animo dei più colti e pronti a ricevere certe rivelazioni, suscitando in loro la curiosità e l’attrazione verso un senso che sfugge e compare continuamente tra le righe del testo. Questo andrebbe ricercato attraverso un atto di separazione dei singoli significati, seguito dallo smembramento degli stessi e, infine, da una loro riunificazione sotto nuova luce. Lo studio dei simboli presenti ne Le nozze chimiche richiederebbe un’analisi attenta ed accurata, ma alcuni di essi saltano immediatamente all’occhio e, rappresentando l’intelaiatura dell’intero discorso, potrebbero fornire un ottimo punto di partenza per chi si appresta all’elaborazione dei contenuti.
Tanto per cominciare, il sette è un numero che ricorre come leit motif a caratterizzare l’intera opera: sette sono i giorni dell’avventura di Cristiano Rosenkreutz, sette i pesi, sette i battelli, sette le vergini di cui si parla e sette i piani della Torre d’Olimpo. Va ricordato, a tal riguardo, che il sette è un numero importantissimo nella tradizione esoterica, di stampo prettamente alchemico. Il numero sette ha, inoltre, delle proprietà quanto meno singolari: è indivisibile e i suoi multipli “spartiscono la vita”, come affermava Aristotele. Sette sono i giorni della settimana e il settimo, nella tradizione religiosa, è quello del riposo. Sette sono i gradi della perfezione, i cieli, le gerarchie angeliche, i peccati capitali e, contrapposte, le virtù. Sette è l’uomo, quindi, perfetto: iniziato e giunto alla fine della sua esperienza iniziatica; è l’androgino ermetico, dove la perfezione si fonde nell’accoppiamento degli opposti. Ma sette sono anche le lettere dell’alchemico V I T R I O L, Visita le Profondità della Terra, e rettificando troverai la Pietra Occulta: “Visita interiora terrae, rectificando invenies occultum lapidem“.

Sette è anche la somma delle invocazioni contenute nella preghiera cristiana Padre Nostro, ottenuta sempre come somma fra: tre, numero perfetto delle invocazioni per il divino e quattro, come i lati della quadratura del cerchio, delle invocazioni per gli uomini:

  1. Sia Santificato il tuo Nome,
    2. Venga il tuo Regno,
    3. Sia fatta la Tua Volontà,
    4. Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
    5. Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
    6. Non ci indurre in tentazione,
    7. Liberaci dal male.

 

Sette è anche il numero del difetti dell’occhio dell’iniziato massonico (la cui tradizione è strettamente connessa a quella dei Rosacroce), i quali spariscono man mano che si sale verso la Luce, ascendendo i sette gradini del Tempio fino all’altare del Maestro Venerabile, dove risiede l’Occhio Divino – simbolo di conoscenza suprema:

  1. Il primo è che l’occhio vede altro ma non se stesso;
    2. il secondo è che non vede lontano, e nemmeno troppo vicino;
    3. il terzo è che non vede oltre una cortina;
    4. il quarto è che vede l’esterno e non l’interno;
    5. il quinto è che vede la parte e non il tutto;
    6. il sesto è che vede il finito e non l’infinito;
    7. il settimo, infine, è che l’occhio vede piccolo il grande.

 

Il sette diventa, così anche ne Le Nozze Chmiche, un numero di iniziazione ed ascesa ad una conoscenza considerata suprema, a cui hanno accesso pochi e meritevoli eletti. La ricerca e l’ascesa sono ardue, infiltrate da ostacoli e sacrifici (basti pensare al viaggio che Cristiano compie per raggiungere il castello sovrano e alla scalata che gli invitati fanno attraverso i sette piani della torre).

Particolarmente interessante è, poi, il fatto che il tessuto narrativo del manifesto presenti un’assenza essenziale – ovvero il racconto delle nozze dei due sovrani – appannaggio della loro esecuzione. Il tema della morte è altrettanto importante nella tradizione iniziatico-alchemica e simboleggia la fine di un vissuto strettamente legato ai piaceri della vita materiale, per abbracciare una rinascita “spirituale” caratterizzata dall’accesso ad un sapere superiore. A tal riguardo Ugo Beccatini ricorda che:

l’archetipo[1] di iniziazione viene fortemente attivato per garantire una transizione significativa, capace di offrire qualcosa di spiritualmente soddisfacente. Il novizio che affronta l’iniziazione deve rinunciare ad ogni desiderio ed ambizione e sottomettersi alla prova. Deve essere disposto ad affrontarla senza alcuna speranza di successo. Di fatto egli dev’essere pronto a morire; e, benché quanto gli viene richiesto per superare la prova possa essere non gravoso o doloroso, lo scopo rimane sempre lo stesso: quello di creare simbolicamente lo stato d’animo della morte, dal quale possa scaturire lo stato d’animo opposto, cioè della rinascita”.[2]

Ne Le Nozze Chimiche la rinascita dei due sovrani sembra, inoltre, rievocare l’operazione attraverso cui un muratore costruisce un edificio, partendo dagli elementi minimi costituitivi dell’edificio stesso: i mattoni. Il procedimento richiama anche il verbo ebraico barah (creare), attraverso il quale il Libro di Abramo descrive la creazione dell’uomo: si tratta di fabbricare qualcosa che prende la forma di un’idea precedente (nel contesto del manifesto rosacrociano si tratta verosimilmente del matrimonio dei due sovrani che, non avendo avuto luogo, resta per l’appunto un’idea), riorganizzando elementi che si trovano allo stato confusionario.

 

Le influenze rosacrociane
Tornando al 1614 e agli anni successivi che segnarono la comparsa dei Rosacroce in Europa, va ricordato che, al di là della finzione o meno operata da Andreae, l’Ordine fece parlare di sé per lunghissimo tempo. L’Europa si spaccò in due fazioni: i simpatizzanti e coloro che guardavano al gruppo con diffidenza mal celata. A prescindere, comunque, dalle accuse che vennero mosse all’Ordine, non si può dimenticare che la “storia dei Rosacroce” fu in grado di scuotere gli animi di pensatori ed illuminati del tempo, intorpiditi dal letargo in cui gettava l’intera Europa.
In Inghilterra, per esempio, Robert Fludd scrisse un Trattato apologetico in difesa dei Rosacroce; in Francia l’alchimista Michel Potier rivolse ai Rosacroce il suo Nuovo trattato sulla pietra filosofale; nel 1625 Francis Bacon scrissa Nova Atlantis, su palese ispirazione del viaggio di Rosenkreutz e racconta le avventure di un gruppo di naufraghi che, guidati da una croce celeste, raggiungono l’isola di Bensalem, dove si trova una società iniziatica ideale, fondante sui principi dell’armonia e della pace e su conoscenze per lo più segrete alla gran parte degli esseri umani.

L’elemento che colpisce di questo romanzo iniziatico non è soltanto la verosimiglianza con l’esperienza vissuta da Rosenkreutz, ma anche il riferimento agli iniziati come “invisibili… vestiti di bianco”, la stessa definizione utilizzata, all’epoca, per designare gli appartenenti al gruppo dei Rosacroce. Cosa altrettanto strana è la coincidenza della data in cui, secondo il racconto di Bacon, gli iniziati raggiungono l’Europa – sotto richiesta dei naufraghi – con quella della pubblicazione del primo manifesto rosacrociano, la Fama, nel 1614. Pura coincidenza oppure un effettivo legame unisce i testi rosacrociani con il romanzo di Bacon, al di là di un mero vincolo letterario?

Risalendo fino ai giorni nostri, l’Ordine Rosacrociano del terzo millennio dichiara di perpetuare la saggezza di quei predecessori che, nel corso dei secoli – ed in ogni epoca, a partire dalle prime notizie della loro comparsa – hanno sperimentato ed affinato le tecniche su come sviluppare le attitudini fisiche, mentali e spirituali, insite nell’uomo. Il loro fine sarebbe, quindi, quello di comprendere le interrelazioni tra gli esseri viventi, il Cosmo, le leggi che lo governano e Dio stesso, a prescindere dal nome al quale lo si voglia associare. Per questo, l’Ordine dei Rosacroce attuale presume di perpetrare la tradizione secondo la quale la vita rappresenta una possibilità di scelta: restare ancorati alla materia ed alle conoscenze limitate o solcare un sentiero che, attraverso la Luce e una comprensione più ampia e profonda delle cose, conduce a Dio e ad uno stato di perfezione. Uno dei loro motti principali è infatti: “Niente è a noi più vicino di noi stessi, eppure nulla è a noi più sconosciuto della nostra vera essenza“.

 

Autore: Redazione
Messo on line in data: Marzo 2006

 

Siti web

Per la lettura integrale dei testi rosacrociani in lingua inglese, è possibile visitare il sito www.levity.com

Se vi interessa la traduzione italiana, la trovate nel sito
www.magia-rituale.com/articoli.htm

Per le Società Rosacruciane, potete vedere questi siti
www.amorc.it
www.amorc.org
www.rosicrucian.org

 

Note

[1] L’archetipo è un concetto sviluppato e argomentato da Carl Gustav Jung, allievo di Freud, che rappresenta un contenuto inconscio collettivo che si riallaccia al patrimonio storico-culturale dell’intera umanità. Nel libro Alle soglie dell’infinito, Giorgia Morietti e Mario Mencarini ne approfondiscono le implicazioni:

Archetipo è un termine già usato presso gli antichi (Filone di Alessandria, Ireneo, Dionigi l’Areopagita) che Jung riprende e trasforma gradualmente. In un primo tempo l’archetipo è visto come contenuto dell’inconscio collettivo, frutto della sedimentazione delle esperienze ripetute dall’umanità nel corso dei millenni, immagini primigenie simili alle idee eterne platoniche.
Esse sono da Jung fatte risalire ad un periodo in cui la coscienza ancora non pensava ma percepiva: forme eterne e trascendenti. In un secondo momento […] l’archetipo non è più visto come un contenuto dell’inconscio collettivo bensì una forma senza contenuto. Non un comportamento ma un modello di comportamento. […] L’archetipo, in definitiva, è una pura dinamica che via via si oggettiva per poi nuovamente dinamizzarsi, e così via.
E’ il soggetto riflessivo che si dà nell’esperienza conoscitiva e quindi torna a distanziarsi per rifletterla, per poi tornare a darsi in una nuova esperienza portando con sé tutta la conoscenza fatta precedentemente“.

[2] Becattini, Ugo, ‘Iniziazione’, in Il pensiero massonico, (Bastogi Editore, 1998), p. 81