STORIA DEI ROSACROCE di Redazione
Speciale Società Segrete e Iniziatiche: Storia dei Rosacroce
Nel 1614, in una cittadina tedesca dal nome di Cassel, comparve uno strano manifesto rivolto ai dotti, agli scienziati ed ai religiosi del paese, in cui si faceva appello ad una trasformazione dell’individuo, contro la corruzione sociale e morale che aleggiava, all’epoca, in Europa. Il manifesto portava il titolo di Comune e generale riforma di tutto il vasto mondo, seguito dalla Fama Fraternitatis del lodevole ordine della Croce di Rosa, rivolto a tutti i sapienti e capi d’Europa ed enunciava l’intento di inneggiare ad una riforma globale – politica, religiosa, sociale. Questa avrebbe dovuto essere atta ad accompagnare una purificazione dell’animo umano ed una conseguente redenzione che sgorgasse dalle profonde viscere dell’individuo.
Scritta in forma poetica, la Fama scagliò le sue frecce velenose contro coloro che non erano stati in grado di portare pace ed equilibrio nel mondo ed, anzi, avevano fatto del potere un mero strumento di soddisfacimento personale. Rivolgendosi ai dotti e ai “cuori fedeli”, questo misteriosissimo gruppo di persone che avevano affisso il manifesto per le strade di Cassel volle veicolare la conoscenza di un personaggio mitico, al quale essi erano profondamente legati da un vincolo spirituale: Cristiano Rosenkreutz (1378-1484), occultista, conoscitore degli enigmi della vita e della morte, dispensatore di conoscenze ardite e segrete, infine sopraffino viaggiatore e conoscitore di popoli. La Fama raccontò, quindi, le gesta di questo mirabile avventuriero che aveva vissuto 106 anni viaggiando tra Il Cairo, Damcar – una cittadina della penisola arabica e non Damasco, come in molti pensano, a torto – e Gerusalemme, per poi far ritorno in patria, in Germania, e fondarvi un gruppo di esoteristi.
Il gruppo, che si definiva Rosacroce, non svelò comunque mai la sua identità ed anzi, nel 1615, pubblicò per vie segrete un secondo manifesto, dal nome Confessione della fraternità. Si trattava di una strenua difesa dei Rosacroce contro le accuse di eresia o di intenzioni losche, impastate con ambizioni politiche. Oltre a tutto ciò, la Confessione si fece promessa di tempi migliori, in cui lo spirito dell’uomo sarebbe stato risvegliato da un sapere nuovo, il confine tra l’universo sottile e quello materiale sarebbe stato valicato e Dio avrebbe comunicato agli uomini il mistero dell’originaria perfezione di Adamo, caduto in tentazione dopo aver assaggiato il pomo della conoscenza. La terminologia ed il simbolismo utilizzati nella Confessione odoravano di alchimia e di cabala, rimandando echi di un sapere esoterico che si perdeva nella notte dei tempi. Il regno dello Spirito, la rinascita interiore, l’accenno all’apocalisse erano, contemporaneamente, tutti temi cari alla tradizione cristiana ed europea dell’epoca e ben attecchivano in un tessuto culturale e sociale che andava evidenziando, al suo interno, crepe e vuoti difficilmente colmabili. Nel 1616 seguì un libretto in tedesco – Le nozze chimiche di Cristiano Rosenkreutz – che rappresentò una chiosa ai due testi precedenti e narrò, in un linguaggio di estremo fascino, l’iniziazione di Cristiano Rosenkreutz alla salvezza, all’illuminazione ed all’estasi.
Ma chi era questo fantomatico personaggio che pungolava la curiosità degli intellettuali e il cui nome era portato avanti dai Rosacroce come blasone del loro pensiero? In tutta probabilità si trattava di una creazione fantastica ad opera di tal Johann Valentin Andreae, un luterano di Tubinga diventato diacono nel 1614 e preoccupato della corruzione che dilagava nel suo paese. Il personaggio (inventato, a quanto sembra, da Andreae) era divenuto così il protagonista dei tre manifesti dei Rosacroce e aveva incuriosito larghe fette di popolazione.
La leggenda raccontava che Cristiano Rosenkreutz, alla fine dei suoi giorni, fosse stato sepolto in una grotta tenuta segreta per moltissimo tempo, fin quando, nel 1604, il sepolcro del maestro sarebbe stato rinvenuto dai suoi discepoli, sotto forma di un sarcofago coperto da una lastra di bronzo, all’interno di una cripta riempita con lampade perpetue (a simboleggiare il risplendere eterno del sole, luce maestra), specchi magici, oggetti misteriosi ed incisioni allegoriche tra cui il motto dei Rosacroce:
Ex Deo nascimur, in Jesu morimur,
per Spiritum Sanctum reviviscimus
Ci si chiede, a questo punto se, nonostante la maggior parte degli studiosi affidi la figura di Cristiano Rosenkreutz alla fantasia di Andreae, egli sia effettivamente un personaggio reale a cui il diacono si ispirò o un personaggio assolutamente fantastico. I gruppi rosacrociani attuali più importanti tendono a porre l’accento su come, in realtà, il resoconto delle gesta di Cristiano Rosenkreutz non rappresenti una biografia vera e propria, bensì una specie di “racconto iniziatico”, in cui le parole diventano chiavi di lettura di concetti assai più profondi di quelli apparentemente annunciati e le date, associate ad episodi accaduti a Cristiano Rosenkreutz, in realtà altro non sono che riferimenti ad eventi storici di interesse mondiale. La storia di Cristiano Rosenkreutz diverrebbe, così, narrazione delle tappe attraverso cui il sapere esoterico ha attraversato l’intero globo terrestre: eredità culturale e spirituale dell’Oriente, sarebbe diventato patrimonio condiviso dall’Occidente. Per esempio, il 1378 – data di nascita del padre dei Rosacroce – coincide con quella dello scisma d’Occidente e il 1484 – data di morte di Rosenkreutz – corrisponde alla data di nascita del più grande riformatore religioso di tutti i tempi, Martin Lutero.
Ma perché Johann Valentin Andreae avrebbe inventato una storia così complessa e a quale scopo? Per comprendere le intenzioni dell’autore – o meglio, degli autori – dei tre manifesti rosacrociani, bisognerebbe rivolgere uno sguardo all’Europa dell’epoca e ricordare che essa attraversava, in quel periodo, un momento di stallo.
Verso la metà del XVII secolo, infatti, l’Europa sperimentò una lunga e lenta fase di declino; le guerre che si erano combattute fino alla prima metà del ‘600 avevano decimato le popolazioni, distrutto città intere ed originato carestie e pestilenze che, assieme ad una serie di catastrofi naturali, colpirono il settore agricolo. I governi furono costretti ad aumentare la pressione fiscale, nella speranza di coprire i buchi da cui l’Europa faceva acqua, ma questo provocò una reazione a catena nell’animo di quanti non si sentivano protetti e difesi nei loro diritti.
Una sfiducia di massa colpì ampie fasce della popolazione e, in particolare in Germania, il potere centrale fu messo in discussione dalle classi aristocratiche sulla base di motivazioni religiose. Molte regioni avevano abbandonato la religione cattolica per seguire quella protestante che sentivano incarnare i propri ideali e le proprie esigenze. Questo finì con l’indebolire l’autorità degli Asburgo che volsero, allora, l’attenzione verso la Boemia, alla quale cercarono di imporre il cattolicesimo come religione ufficiale. Da qui si scatenò una lunghissima guerra, detta “dei trent’anni”, che coinvolse altri stati europei e terminò con una pace che sanciva la fine del potere degli Asburgo in Europa. Nel frattempo le classi sociali, ancora vagheggianti lo sfarzo ed il benessere del precedente Rinascimento, si sentirono sopraffatte dalla crisi generale che dilagava nel paese e cominciarono a cercare risposte ai loro dilemmi in strade alternative a quelle ufficiali, che si erano mostrate impervie e poco sicure. Non è un caso che, in quest’atmosfera di disfacimento e depressione, trattati di magia, libercoli di alchimia ed astrologia riscuotessero successo e conoscessero una fase di grande diffusione.
In questo panorama caliginoso s’impose la figura di Johann Valentin Andreae: assieme ad altri personaggi – quali Christoph Besold e Tobias Hess –, formò un gruppo denominato “Cenacolo di Tubinga”, che prende il nome dalla città in cui il gruppo era solito incontrarsi. Gli aderenti al cerchio erano tutti appassionati di magia, alchimia ed esoterismo ed erano intenzionati, in tutta probabilità, ad integrare l’opera di riforma avviata da Lutero e da Calvino, ma ritenuta da loro insufficiente a rianimare lo spirito degli esseri umani. Ispirazione fondamentale per i testi rosacrociani formulati dal cenacolo furono due autori diversi ma complementari nell’esposizione di concetti: Traiano Boccalini col suo Ragguagli di Parnasso e Tommaso Campanella, discepolo di Telesio, col suo Città del sole, in cui lo scrittore afferma che solo l’intuizione o il “sentimento interno” danno l’accesso alla conoscenza del divino.
Al di là dei due esempi italiani, però, i testi rosacrociani trassero linfa vitale da un background culturale sicuramente più vasto che guardava all’esoterismo escatologico diffuso in Occidente dal XII secolo: si pensi al mistico Ruysbroeck col suo Ornamento delle nozze spirituali che sembra riecheggiare nelle Nozze chimiche di Rosenkreutz, o al concetto di emanazione divulgato dalla dottrina cabalistica, secondo la quale Dio non è lontano dall’uomo ma si emana attraverso le manifestazioni della sua stessa creazione – le Sephiroth – ed è percepibile attraverso la contemplazione e l’estatsi; Gioacchino da Fiore ha probabilmente funto da modello per la figura di Cristiano Rosenkreutz, in virtù del suo vagabondare in Oriente e della cui cultura attinse suggestioni per una vita spirituale fondata sulla concordia; ancora, rilevante fu il concetto alchemico di medium tra il fisso, l’essenza eterna ed il relativo o perituro.
Le origini dei Rosacroce sembrano, così risiedere nelle fantasie di pochi uomini sì devoti all’alchimia ed all’esoterismo, ma pur sempre inventori di un’intera tradizione. In realtà così non è perché, nel 1629, il curato di una cittadina in Normandia, tale Robert Deyau, infiltrò l’idea secondo cui, nonostante i Rosacroce fossero apparsi sulla scena da pochi anni, in realtà le loro origini si perdevano nei tempi e si ricollegavano al 1188 e ad un’altra società iniziatica dal nome di Ordine di Sion. L’ordine, secondo testimonianze scritte, sarebbe stato istituito da Goffredo di Buglione, impegnato nella conquista della Terrasanta. I seguaci del gruppo avrebbero preso il nome dall’abbazia di Nostra Signora di Sion, costruita sul monte Sion in seguito alla conquista di Gerusalemme. Alla morte di Goffredo, i due membri dell’Ordine di Sion avrebbero fondato l’Ordine dei Templari che si scisse, nel 1187, in due gruppi: i Templari, per l’appunto, e l’Ordine di Sion col sottotitolo di “Ormus Ordre de la Rose-Croix” e il cui Gran Maestro fu Jean de Gisors.
Si narra che tale separazione ebbe luogo nelle vicinanze del castello di Gisors – che, tutt’oggi, sembra celare documenti e segreti sui Templari –, dove fu abbattuto simbolicamente un olmo, alla presenza dei sovrani di Francia ed Inghilterra. Dal 1188, quindi, l’Ordine operò sotto la guida di Jean de Gisors che, pare, avesse insistito sulla necessità di distruggere i documenti che attestavano la coesistenza dell’Ordine dei Templari e di quello di Sion.
Il nome del gruppo da lui capeggiato – Ormus Ordre de la Rose-Croix – potrebbe risalire alla figura di uno gnostico vissuto nel I secolo d.C. ad Alessandria d’Egitto, chiamato per l’appunto Ormus e fondatore di un ordine che aveva come simbolo una croce rossa ed una rosa. A sua volta, il nome Ormus era attinto dalla tradizione di Zoroastro, nella quale esso rappresentava la luce ed il bene. L’Ordre de la Rose-Croix avrebbe, così, anticipato la nascita dell’Ordine dei Rosacroce di circa 500 anni prima della comparsa dei manifesti a Cassel.
Autore: Redazione
Messo on line in data: Marzo 2006