STREGONERIA NELLE MARCHE di Andrea Romanazzi
La Stregoneria della Marca:
Processi e Inquisizione tra Pesaro, Urbino e Ancona
Ogni comune d’Italia è legato a un triste accadimento di stregoneria, e infatti eccoci di nuovo dinnanzi a un caso di stregoneria ancora una volta assolutamente inedito che testimonia come la caccia alle streghe sia perdurata in Italia ben oltre la metà dell’Ottocento.
Potrebbe trattarsi di uno degli ultimi, se non proprio l’ultimo, non trovando riscontri successivi, processo in Italia.
Siamo questa volta nelle Marche, territorio che, tra la metà del Cinquecento e i primi decenni del Seicento passò sotto il dominio dello Stato della Chiesa. Paradossalmente però i territori direttamente sotto il dominio del trono di Pietro furono i meno colpiti dai fervori dell’Inquisizione che, in realtà, puntava le sue armi verso i territori del nord Italia, lì dove si concentravano gli eretici e il “libero pensiero” proveniente d’Oltralpe. Comuni principali della “Marca” furono senza dubbio Pesaro, Urbino ed Ancona.
Si sa davvero poco dei processi inquisitoriali nelle Marche, ad eccezione delle persecuzioni a carico degli ebrei, a causa degli scarsi documenti rimasti, spesso ridotti a frammenti, ma soprattutto di una ricerca storica che si è incentrata sempre nella ricostruzione delle vicende dei più importanti tribunali inquisitoriali quali quelli di Venezia, Firenze e Napoli, trascurando spesso aree della Penisola politicamente meno importanti, come appunto la Marca. Il silenzio delle carte, però, non corrisponde alla realtà, semplicemente la maggior parte delle vicende è caduta nell’Oblio.
Nell’immagine sopra, “L’interrogatorio in carcere”
di Alessandro Magnasco (1667-1749).
Vienna, Kunsthistorisches Museum
Il primo inquisitore residente nel territorio marchigiano, e precisamente ad Ancona, fu Tommaso Gaeta che, nel 1553, venne nominato commissario dell’Inquisizione della Marca. In realtà esponente di spicco dell’inquisizione regionale fu il suo successore Alberico Gentili, che stabilizzò la sede del tribunale ad Ancona dando vita, nel 1556, alla più dura persecuzione antiebraica italiana del Cinquecento con la condanna a morte di 26 “marrani” abitanti nella città.
Tra il XVII e nel XVIII secolo, dopo una breve parentesi che aveva visto l’Inquisizione marchigiana appartenente all’ordine dei minori conventuali, la sede fu governata dai domenicani che la portarono ad essere una delle più dure e longeve. Infatti, seppur abolita in età napoleonica, l’Inquisizione fu reintrodotta durante la Restaurazione e rimase operativa nelle Marche fino a metà Ottocento, secolo durante il quale, venne creato a Pesaro un nuovo ufficio inquisitoriale che avrà il triste primato di essere l’ultimo fondato in Europa.
L’Inquisizione di Ancona cessò formalmente di esistere con la fine del dominio papale sulle Marche e la loro annessione al Regno d’Italia nel 1860. L’ultimo inquisitore della regione fu Leone Sallua, domenicano e arcivescovo, Commissario Generale del Sant’Uffizio di Spoleto, Ancona e Pesaro, prima dell’occupazione italiana dei territori dello Stato della Chiesa.
Se questa in breve la storia dell’Inquisizione marchigiana, vediamo il suo rapporto con la stregoneria. Se i processi e le condanne per eresia sono piuttosto diffusi e documentati, è difficile trovare informazioni e riferimenti in merito a processi per stregoneria. Uno dei più noti è quello tenutosi a Pesaro nel 1578 di cui, però, non si conosce la conclusione a causa del carteggio incompleto. L’11 Dicembre 1578 un certo Ippolito da Ferrara, residente a Pesaro, in contrada Santa Chiara, denunciò all’Inquisizione alcuni strani racconti riportatigli da una sua vicina di nome Lena. Questa infatti, passando delle vicinanze della casa di una certa Sensa de’ Bernacchi vide che al suo interno si praticavano arti magiche. Sei donne, donna Santa de Bernacchi, la padrona di casa, Bernardina de Amatis, detta Spadona, Isabella di Paris, donna Sensa, sua figlia Lucrezia e una certa Francesca che era gravida, avevano realizzato una sorta di piccolo altare su cui erano posti ceri rossi e una brocca d’acqua benedetta. Attraverso questa e l’uso di particolari scongiuri magici avrebbero ivi evocato il diavolo per conoscere il responsabile di un furto di denari a carico di un falegname di nome Camillo Borello.
“… Lena moglie d’un muratore, che abita pur in Pesaro, nella suddetta contrada di Santa Chiara, mi ha detto, andando essa una volta in casa d’una donna vedova che si chiama Santa de Bernacchi, ritrovò, in casa d’essa Santa doi cavaletti, o trespoli di legno in croce, con una coperta di sopra quale era stata tolta in prestito da una sua vicina, moglie di messer Piero Antoni da Urbino, sotto li quali trespidi et coperta: gli erano tre mamole, o vero giovine da marito, et tenevano tre candele benedette accese in mano, et vi era anco una donna gravida, et havevano una incristara, o vero caraffa piena d’acqua benedetta sopra d’un banco in mezzo quelle giovine. Sotto la qual caraffa vi era un quatrino della croce, et esse giovine dicevano: angelo bianco, angelo nero mostrami chi ha tolto quelli danari; et subito vidde uno con le corna nere, il qual angelo gli mostrò uno vecchio vestito di berettino qual haveva tolto li danari…” (VI.1 Iura civilia et criminalia – fasc. 235 – Die 11 decembris 1578 Archivio Vescovile della Curia di Pesaro).
Per l’accusatore “matrona Sensa faceva professione di tal cose“. In realtà il rituale descritto era diffuso nel folklore popolare e conosciuto con il nome di inghistara, una pratica divinatoria che permetteva il ritrovamento di cose perse o l’individuazione del ladro nel caso di furto.
Scattò subito l’indagine inquisitoria. Furono ascoltate due testimoni oculari, donna Lena e donna Pelegrina. Quest’ultima narrò di un’altra sua esperienza diretta, ovvero l’apparizione, in casa della Bernardina, di un “… animale brutto negro di figura deforme con gran strepito, che si avoltava intorno a questa spadona, il qual anco amorzò la lucerna, doi o tre volte“, uno spirito inviato da un’altra strega per operazioni malvagie. Il 2 Maggio 1579 venne convocata la Spadona, che confessò. Un giovane uomo, Camillo Borrello, detto Marangone, ovvero falegname, aveva perso dei denari e la madre lo aveva mandato da loro perché aveva saputo che attraverso l’inghistara avrebbe potuto recuperarli. Le vicenda non ha una conclusione, ma è un’importante testimonianza delle pratiche magiche svolte nell’area e dell’attività inquisitoriale.
Anche Urbino, più o meno nello stesso periodo dimostra una importante attività inquisitoriale. Nel 1587 condotta un’inchiesta dalla Curia Arcivescovile di Urbino su una certa donna Laura, moglie di Marco di Luchino della villa di Santa Croce del castello di Farneta, sospettata di essere una strega, di ungersi con strani e pestilenziali olii, ottenuti dal sangue di bambini, e volare al sabba.
In realtà di trattava di una “domina herbarum”, una guaritrice di campagna che conosceva ed usava le proprietà delle erbe per guarire soprattutto i bambini. La donna descrisse anche il rituale da lei usato per curare i neonato, che consisteva nel lavare tre volte il bambino ammalato in bacile in cui erano state disciolte le ceneri delle palme benedette, dell’incenso e delle candele della chiesa insieme a molte erbe raccolte il giorno di San Giovanni.
Anche in questo caso i documenti sono incompleti, si sa solo che il 12 1588 la donna fu sottoposta a tortura. Ciò che rimane ad oggi è una curiosa filastrocca popolare che, si canta ai bambini per farli spaventare:
“Staccia stacciola / chel bordlac’ en vol gì a scola! / Staccia minaccia / La strega i da la caccia!/ Staccia mineta/È la strega de Farneta! / De Farneta e d’ Farnetella / Cerca sempre na bordella / Na bordella bruna e bella / Da buttè ‘nt la padella / / ‘nt la padella scura scura / per avè la Bonaventura / la Bonaventura de San Gvan / quand tutt’ le stregh s’ne van. / Lor van giò,lor van sò: / ‘ste bordel buttle giò.giò giò …“
Abbiamo incontrato sin ora processi ed interrogatori cinquecenteschi. In realtà ’attenzione verso le streghe e la stregoneria nelle Marche non finirà presto. A testimonianza del perdurare delle persecuzioni religiose, presentiamo qui un documento inedito, datato 1846, riguardante una accusa di stregoneria nel territorio di Ancona. Questo documento, per quanto anch’esso incompleto, ha una rilevante importanza storica, perché potrebbe rappresentare forse l’ultima segnalazione di accadimenti a sfondo stregonesco avvenuti nelle Marche. La regione, infatti, dopo la parentesi di occupazione francese, durante la quale acquisisce il nome di “Marche” (prima era chiamata Marca di Ancona o semplicemente Marca), nel 1813 ritorna allo Stato Pontificio che la divide da un punto di vista amministrativo nelle delegazioni pontificie di Urbino e Pesaro, Ancona, Macerata, Fermo, Ascoli Piceno e Camerino. Il periodo francese aveva però lasciato nell’animo di tutti gli italiani l’idea dell’indipendenza e dell’unità nazionale. Tumulti fecevano decadere le delegazioni apostoliche per brevi periodi anche se poi erano prontamente restaurate. Nel 1849 le Marche aderivano alla Repubblica Romana cacciando via ancora una volta i delegati pontifici e le loro truppe ma solo nel 1860 la regione si affrancava definitivamente dal governo pontifico.
Entrando nel merito del nostro documento (immagine a destra), si tratta in realtà di una breve relazione riferibile all’Ispettorato politico della Delegazione Apostolica di Ancona, datato 16 Agosto 1846. Nella carta si fanno i nomi delle persone coinvolte e della località dove la presunta strega esercitava le sue malìe, ovvero in Pietralacroce, una piccola contrada di Ancona, oggi rione cittadino, in prossimità del Altavilla una fortificazione ottocentesca.
Questo il testo:
Sonosi udite forti lagnanze contra una vecchia sessagenaria da vari parrocchiani di Pietra in Croce, per nome Teresa Giognanetti di Monte Marciano, ivi stazionata in Pietra la Croce, da molto tempo viene imputata costei che si diletti fare compositi di fatture, di stregonerie, facendo andare in consunzione la gente e poscia le fa morire seconda chi perseguita o di chi le viene commissionata,fra le altre cose dicesi che abbia fatto morire di recente la nipote del curato stesso, per nome Peppina Ludovico ed indotto a morte certa un contadino, per nome Mariano Canchetta. Queste due vittime, per quanto dicesi, chiamarono a se un semplicista di Jesi, nominato Trecento, conoscente di tali fatture e dichiarò in quanto alla nipote del curato suddetto non esservi più tempo a rimedi, per essere la fattura proprio impossessata, l’altro procurò di salvarlo; da tutto ciò un malcontento vi è dettato in quella curia e si vorrebbe tentare sulla vita di costei se non si ripara dalla superiorità a tempo, ed è perciò che pria che possa nascere un maggiore inconveniente ha creduto il sottoscritto portar tal fatto sottocchio di V. E. per quelle determinate azioni che vederà del capo. si potrebbe servire su ciò, oltre che dei parrocchiani, se servisse, anche un tal Vincenzo Banchetta, Mariotti e Maroni.
Una eccezionale testimonianza di come, ancora a metà Ottocento, la caccia alle streghe continuava a proliferare tra le regioni italiane.
Autore: Andrea Romanazzi
Messo on line in data: Ottobre 2015
Immagine del documento storico a cura dell’Autore.