STUDI SUL PENSIERO MAGICO (PARTE PRIMA) di Devon Scott

Come nacque il pensiero magico?

Gli studi sul processo che aveva provocato, negli uomini primitivi, la nascita del pensiero magico, e dei rapporti di questo con la religione, nacquero nella seconda metà dell’Ottocento. Si cercò per la prima volta di analizzare, codificare e dare un’interpretazione dei fenomeni cosiddetti “magici”.
Da allora molti antropologi, etnologi, sociologi e psicologi si sono cimentati nell’ardua impresa, taluni con l’intento di demolire l’intero castello delle credenze magiche, altri sforzandosi di superare il pregiudizio più ovvio, cioè quello di negare il magico aprioristicamente, senza neppure cercare di indagarlo a fondo. Su due cose soltanto sono tutti in completo accordo: la magia è un fenomeno comune a tutte le civiltà, a partire dalle più antiche; inoltre, per quanto possano essere differenti le credenze religiose e i riti che le accompagnano, le cerimonie, gli strumenti e le idee di base del credo magico presentano incredibili somiglianze e connotati di omogeneità in tutte le popolazioni. Vediamo quali sono le conclusioni e le ipotesi degli studiosi più rappresentativi.

Edward Burnett Tylor (1832-1917), autore di Primitive culture (1871), fece derivare la magia dall’animismo dei popoli primitivi, che attribuivano un’anima a ogni cosa, oggetti, piante, animali: da questa concezione sarebbero nati gli dei (oggetti e animali benefici) e i demoni (oggetti malefici), quindi anche la magia, insieme di rituali per propiziarsi i primi ed esorcizzare i secondi.
Le forze occulte e misteriose, che rifiutavano di farsi sottomettere dagli uomini, potevano forse essere influenzate, ed ecco la nascita delle preghiere, della religione, del culto dei morti e della fede negli spiriti.
Tylor studiò le credenze, le fiabe e le tradizioni popolari, che sono patrimonio della memoria dei “volghi” e che questi volghi sono in grado di far rivivere e di riplasmare secondo le esigenze del momento. Parlò per primo di magia “simpatica”, cioè di riti magici che provocavano effetti che passavano dal simile al simile, dal contiguo al contiguo, dall’immagine di una cosa alla cosa stessa, dalla parte al tutto.

Il concetto fu poi ripreso e ampliato da James G. Frazer (1854-1941), l’antropologo autore della famosissima opera Il ramo d’oro, pubblicata per la prima volta nel 1890, che si proponeva di raccogliere e interpretare leggende, miti, superstizioni, riti e credenze di popoli antichi e moderni, e che deve essere considerata il primo studio organico del problema.
Egli divise la magia in due tipologie, omeopatica e contagiosa, entrambe agenti per simpatia: Frazer chiamò “magiche” tutte le pratiche che producevano effetti speciali attraverso queste due leggi. La magia omeopatica era una magia di tipo imitativo, che agiva a distanza avvalendosi di simulacri che rappresentavano la vittima e che venivano trattati come se fossero stati una persona in carne ed ossa: il più tipico esempio era la Dagide, una statuetta che veniva infilzata con chiodi, spine o altro per dare morte o malattie. Da questo egli deduceva che il mago era convinto di poter produrre qualsiasi effetto soltanto imitandolo. La magia contagiosa sfruttava invece il rapporto di interdipendenza che si stabiliva fra cose o persone venute in contatto. Queste due leggi si applicavano a tutto, erano universali e non limitate alle azioni umane.

Frazer distinse poi la magia in teoretica (magia come pseudo-scienza) e pratica (magia come pseudo-arte); nella magia pratica c’erano gli incantesimi positivi e i tabù negativi. La magia, “sorella bastarda della scienza“, costituiva la via mistica e scientifica dell’uomo primitivo ed era il primo gradino di evoluzione mentale dell’uomo; essa aveva preceduto perfino la religione, che aveva avuto origine proprio dagli scacchi e dagli errori della magia. Religione e magia avevano, dunque, rapporti molto stretti.
Con “religione” egli intendeva l’atto del “propiziarsi e conciliarsi le potenze superiori, supponendo che esse dirigano e controllino il corso della natura e della vita umana“. La religione aveva dunque un presupposto di teoria, cioè che ci fossero potenze superiori, e uno di pratica, cioè che fosse possibile propiziarsi queste potenze. La fede ci fa credere a un essere divino; ma se la fede non conduce a una pratica corrispondente, è cosa morta. Quindi, diceva Frazer (1):

Non si è religiosi se in qualche modo non si governa la propria condotta per mezzo del timore o dell’amore per Dio. D’altra parte, una giusta pratica priva di ogni credenza religiosa non è religione: due persone possono agire esattamente allo stesso modo, ma una è religiosa, l’altra no. Se uno agisce per amore o timore di Dio è religioso; se agisce per timore o amore degli uomini è morale o immorale a seconda che la sua condotta si accordi o contrasti con il bene di tutti“.

Frazer analizzò il folklore di moltissime etnie diverse, ma non per questo si deve pensare che egli fosse un sostenitore della magia; al contrario, egli considerava le credenze magiche un tessuto di errori e di illusioni. In una sua opera successiva, L’avvocato del diavolo, ribadì la sua convinzione che la magia fosse un’accozzaglia di assurde superstizioni, ma precisò anche che quelle superstizioni avevano contribuito, presso molti popoli, ad aumentare il rispetto per il governo, a mantenere l’ordine sociale, a dare il senso della proprietà privata, a regolare la morale sessuale e inculcare il rispetto per la vita umana. E poiché il governo, la proprietà, la famiglia, il rispetto per gli altri erano, secondo Frazer, il fondamento della società, dagli errori del pensiero magico era venuto all’umanità tantissimo bene.

Anche lo storico contemporaneo Edwin Oliver James, che è stato per anni docente di Storia e Filosofia delle Religioni all’università di Londra, ha posto la nascita della magia in un quadro di animismo, in cui agiscono forze misteriose che i rituali magici debbono equilibrare; una di queste forze è il “Mana“, termine della Melanesia non ben definibile, in quanto è insieme verbo, aggettivo e sostantivo, e vuol dire forza, azione, qualità. Esso dà valore a cose e persone; il rito magico lo anima e lo carica.
James disse che le religioni si erano sviluppate a partire da tre situazioni critiche: la nascita, la morte e la necessità di procurarsi mezzi di sussistenza in un ambiente precario:

La pressione degli eventi nel mondo esterno e nelle cose umane, la perpetua lotta per l’esistenza e la sopravvivenza, in questo mondo e nell’altro, le innumerevoli frustrazioni e le terrorizzanti esperienze, spesso del tutto al di fuori del suo controllo e della sua comprensione, sembra che abbiano creato nell’uomo una tensione, a sollievo della quale era necessario trovare vie e mezzi opportuni. (…) Così, una volta che alla sublimazione di quest’ansia fu destinata una tecnica rituale, essa divenne un fatto stabile, che si sviluppò per rispondere a qualsiasi necessità e mantenere l’equilibrio di una struttura sociale e di una organizzazione religiosa in fase di espansione” (2).

Nacque così l’interpretazione animistica dei fenomeni naturali, delle cause della nascita e della vita, del dolore, della malattia e della morte, con l’ideazione di tante immagini simboliche della divinità quante erano le diverse identità sacre, ciascuna fornita di una appropriata tecnica rituale, in un culto destinato a porre sotto controllo e a rendere efficaci le forze associate ai simboli. Un esempio di questo sono i riti magici per la caccia, compiuti dai primitivi allo scopo di assicurare abbondante selvaggina ai cacciatori, e i riti per la fertilità, che dovevano consentire la sopravvivenza della specie.

Mircea Eliade (1907-1987), filosofo e antropologo rumeno, è riconosciuto come il maggiore esperto del Novecento sui simboli del “sacro”. Autore di numerosi saggi, ha parlato soprattutto dell’esperienza del sacro e delle sue ierofanie (cioè delle sue manifestazioni), espresse in simboli: miti, divinità, figure soprannaturali. Egli affermava che esse erano pre-riflessive e che l’uomo non era mai del tutto privo di senso del sacro, perché nessuno poteva essere ridotto solo a una attività conscia e razionale.

L‘uomo a-religioso allo stato puro è un fenomeno piuttosto raro, anche nella società moderna più desacralizzata. La maggioranza dei ‘senza religione’ si comporta ancora, a propria insaputa, religiosamente. Non si tratta soltanto di quell’insieme di superstizioni o di tabù dell’uomo moderno, che hanno una struttura e un’origine magico-religiosa. L’uomo moderno, che pretende di sentirsi e di essere a-religioso, ha ancora a sua disposizione tutta una mitologia camuffata e molti ritualismi degradati” (3).

Nessuno di noi, secondo Eliade, sarà mai disposto a rinunciare al suo universo immaginario e la magia ha proprio questa funzione, perché “l’assoluto non può essere estirpato dal cuore dell’uomo“. Infatti, per mezzo dell’esperienza magico-religiosa, “l’uomo diventa egli stesso un piccolo cosmo vivo, aperto a tutti gli altri cosmi che lo circondano“, e viene guidato verso se stesso, prendendo coscienza della propria esistenza e del proprio destino.

Al filone sociologico appartiene Marcel Mauss (1872-1950), l’etnologo che ha analizzato, con altri studiosi e da solo, i comportamenti magico-religiosi di innumerevoli popolazioni primitive; la sua opera più nota, Teoria generale della magia, è importantissima, anche se datata (infatti Mauss pubblicò le sue ricerche nel 1903 e non conosceva Freud), e ha influenzato la sociologia, l’antropologia, la psicologia e perfino la psicosomatica. Egli ha avuto il grande merito di aver cercato di cogliere verità profonde al di là della mera osservazione; fu anche il primo a dare una definizione organica di magia, a evidenziare gli elementi ricorrenti nella magia e analizzare il fenomeno magico nei suoi dettagli.
Mauss disse che per elaborare un concetto completo di magia occorreva analizzarne più tipi possibili, studiando il pensiero magico di società molto primitive e molto differenziate. Egli compì le sue ricerche sulle popolazioni dell’Australia, della Melanesia, del Messico e del Nord degli Stati Uniti (Indiani di ceppo algonchino, irochese e cherokee). Dalla sua esperienza diretta e dall’analisi delle opere scritte sull’argomento da altri studiosi, Mauss elaborò un suo concetto personale di magia.

Dedusse innanzitutto che si può considerare magico solo ciò che viene ritenuto tale da tutta la società, escludendo le superstizioni individuali; la magia è fatta inoltre di tradizione: il magico si ripete. Le pratiche magiche non devono essere confuse con tecniche artistiche o industriali: l’efficacia delle pratiche occulte non ha nulla a che fare con l’efficacia meccanica. Mauss contestò al Frazer la convinzione che i riti magici fossero tutti agenti per simpatia e che tutti i riti simpatici fossero magici. Egli era invece d’accordo con tutti gli altri studiosi su una cosa: sono magici tutti i malefici.

Agente dei riti magici è il “mago”, individuo che può essere uno specialista o anche non esserlo, poiché molti riti sono stati volgarizzati e semplificati, arrivando alla portata di tutti. (…) Il mago ha caratteristiche che lo distinguono dall’uomo comune, ma il suo essere diverso deriva dall’atteggiamento preso dalla società nei suoi confronti. Il mago ha potere su se stesso e sulle cose in virtù della sua volontà e può essere in più luoghi grazie al suo doppio. Spesso il mago è tale per parentela con gli spiriti; per esempio, nei paesi a tradizione celtica chi si occupa di magia viene ritenuto figlio di un umano e di una fata. In altri casi diventa mago chi ha fatto un patto col demonio, oppure ha ricevuto dal diavolo benefici in cambio di favori sessuali. Il mago è spesso posseduto da uno o più spiriti o demoni. (…) Gli atti del mago sono i riti, da farsi in determinate condizioni fisiche e mentali, oltre che di tempo e di luogo” (4).

Mauss parlò anche di iniziazione e di società magiche. Il tema della morte momentanea si ritrova nell’iniziazione magica come nella religiosa. L’iniziazione produce un cambiamento della personalità (talvolta si cambia anche il nome); l’atto è solenne e misterioso e si accompagna a forme rituali di purificazione, permettendo l’ingresso in una società chiusa, nella quale esiste una disciplina corporativa, una serie di regole di vita, che possono consistere in ricerca di qualità morali, di purezza rituale o altro.
Per quel che riguarda la differenza fra magia e religione, Mauss disse che le religioni si creavano sempre una specie di ideale, cui venivano rivolti gli inni, i voti, i sacrifici; la magia tendeva invece sempre verso il maleficio. I riti magici e religiosi avevano agenti diversi e non si svolgevano negli stessi luoghi: mentre il rito religioso si svolgeva di giorno e con un pubblico, in quanto aperto a tutti, il rito magico aveva luogo in posti appartati e tendeva a nascondersi anche se era fatto a fin di bene.
Mauss concluse che proprio questo dimostrava l’irreligiosità del rito magico: mentre la pratica religiosa era sempre regolare, prevista, ufficiale, il rito magico era sempre irregolare e anomalo. Si poteva quindi dedurre che il rito magico era tutto ciò che non faceva parte di un culto organizzato.

Bronislaw Malinowsky (1884-1942), matematico e fisico polacco, si interessò anche di antropologia, apportando interessanti teorie sulle motivazioni che avevano spinto l’uomo primitivo verso la magia. Egli criticò Frazer, perché gli studi sui riti e sulle formule da lui compiuti non si erano mai spinti fino all’analisi delle operazioni magiche. Il suo saggio, Teoria scientifica della cultura, fu pubblicato nel 1944; egli, a differenza di Frazer e Mauss, conosceva bene la psicoanalisi e sosteneva che i primitivi avevano avuto sempre comportamenti razionali sulla base della loro conoscenza scientifica. Egli sostenne che:

la magia fa sempre la sua comparsa in quella fase dell’azione umana in cui la conoscenza che ha non basta all’uomo. L’uomo primitivo non può trasformare il tempo. L’esperienza gli insegna che la pioggia e il sole, il vento, il caldo e il freddo non possono essere prodotti dalle sue mani. Egli, perciò, li tratta magicamente” (5).

L’uomo primitivo trattava, quindi, in modo logico e razionale tutto ciò di cui aveva conoscenza: la caccia, la pesca, i viaggi, gli spostamenti della tribù. Ma la salute e la malattia non facevano parte del suo bagaglio di conoscenze. Che cosa poteva fare, in questo caso?

Emotivamente e praticamente, se gli capita di ammalarsi ne risente moltissimo. Una teoria mistica, secondo cui la malvagità di altri uomini possa produrre malattia, viene suggerita dalla psicologia e dalle sue relazioni sociali. Sotto molti aspetti le spiegazioni date alla teoria della stregoneria sono utili, in quanto traducono i decreti inesorabili del destino in manipolazioni della malvagità umana. L’uomo malato, primitivo o civilizzato, vuole sentire che qualcosa si può fare. Egli anela ad un miracolo e la convinzione che quello che è stato prodotto da un mago malvagio possa essere controbattuto da uno stregone più potente ed amico, può anche aiutare l’organismo a resistere alla malattia” (6).

Come spiegare la persistenza, nei secoli, della fede nella magia? Questa nasce dal consapevole riconoscimento che la scienza ha i suoi limiti e che anche noi siamo esseri limitati. Inoltre implica un atteggiamento ottimistico, per cui è possibile, attraverso il rito e l’incantesimo, ottenere risultati sul nostro destino e all’occorrenza cambiarlo in meglio
La base psicologica della magia è perciò l’affermazione dei propri desideri e l’imposizione dei fini e dei risultati voluti:

L’azione umana deve essere guidata dalla convinzione del successo. Più forte è questa convinzione, più efficace è l’organizzazione e l’esecuzione degli sforzi. Per questo la magia, come tipo di attività che soddisfa il bisogno di ottimismo, è essenziale all’efficienza del comportamento umano (…) è il ponte tra l’età dell’oro di una creatività primordiale ed il potere attuale di produrre miracoli. Per questo le formule magiche sono piene di allusioni mitiche che, al momento in cui sono pronunciate, incatenano i poteri del passato e li immettono nel presente” (7).

 

Autore: Devon Scott
Messo on line in data: Aprile 2015

 

Note
1 – Da Frazer James G.,  Il ramo d’oro, edizioni C.D.A., Milano.

2 – Da James Edwin O., Nascita della religione, editrice il Saggiatore, Milano.
3 – Da La nostalgia delle origini di Mircea Eliade, editrice Morcelliana, Brescia.
4 – Da Marcel Mauss, Teoria generale della magia, editrice Einaudi, Torino.
5 – Da Bronislaw Malinowsky, Teoria scientifica della cultura e altri saggi, editrice Feltrinelli, Milano.
6 – Da Bronislaw Malinowsky, opera citata.
7 – Da Bronislaw Malinowsky, opera citata.

 

Bibliografia
Chiozzi Paolo – Introduzione all’antropologia culturale, editrice Le Monnier, Firenze.

De Martino Ernesto – Magia e civiltà, editrice Garzanti, Milano.
Durkheim E., Hubert H. e Mauss M. – Le origini dei poteri magici, editrice Boringhieri, Torino.
Scott Devon – Tradizioni perdute, edizioni Lunaris, Viareggio.
von Glasenapp Helmuth – Fede e culto nelle religioni evolute, editrice Sansoni, Firenze.