ERBE MAGICHE: TERAPIE POPOLARI IN VALCAMONICA di Katia

Sono trascorsi molti inverni, dal momento in cui il mio destino mi ha portato in alta Valcamonica.
Il fascino del paesaggio montano mi ha accolto, dapprima in una stretta fredda e ostile, per poi tramutarsi in un caldo abbraccio carico di magia.
Qui pare che il tempo si sia fermato: il carretto con il mulo passa ancora tra le vie di Vezza d’Oglio, (paesino solare incastonato fra le cornici dei parchi dell’Adamello e dello Stelvio), mentre le rare contadine anziane, con il foulard raccolto tra i capelli e le lunghe gabbane nere, portano a spalle il “gerlo” carico di fogliame da espandere nelle stalle.
Nelle tiepide giornate estive si notano i contadini, nelle distese verdeggianti, a mungere le vacche, mentre alcuni bimbi cresciuti precocemente, con il volto colorato dal sole delle alture, badano al bestiame, ed i loro visi s’illuminano quando a loro è concesso di guidare il trattore per la raccolta del fieno.

Quando l’inverno bussa, e tutto è ammantato da una magica coltre bianca, tutto tace e la quiete è sovrana. Ecco che verso l’imbrunire una piccola processione si raduna alla latteria del paese, appuntamento quotidiano, dove donne e uomini con il “congial” (contenitore del latte) a carico sulle spalle, portano il liquido prezioso appena munto al caseificio dove sarà venduto; dopo di che, il minuscolo corteo si dissolverà, per far presto ritorno nelle calde case, magari fissandosi appuntamento per il dopo cena per fare i “stramadec”, quattro chiacchiere in compagnia.

 

Antica usanza dei contadini, i “stramadec” solitamente si facevano nelle stalle, ai tempi, luogo più caldo della casa; in un angolo appartato e pulito c’era il tavolo con sedie e panche, dove donne e ragazze rammendavano e ricamavano il corredo, mentre gli uomini, riparavano gli attrezzi da lavoro o costruivano i gerli (grandi ceste da mettere a spalle). In quegli inverni lunghi e rigidi, la contrada si radunava nell’una o l’altra stalla, dove si discuteva sulla vita quotidiana e sul da farsi per l’estate successiva; da lì anche l’usanza di tramandare antichi rimedi curativi sia per la propria famiglia che per il bestiame.

Ora non si fanno più nelle stalle, bensì in cucina davanti a un camino acceso, ed è in quelle occasioni, nelle importanti cene di famiglia, che è germogliato il mio interesse per le cure cosiddette popolari. Sono questi i momenti dove si possono raccogliere le saggezze degli anziani e soprattutto le tradizioni perdute. In una di queste serate zio Gino, appassionato apicoltore ed esperto narratore, descriveva sue esperienze di gioventù, quando la mia attenzione fu ravvivata…

Da giovane, quando andavo con il bestiame sulle alture di “Plazza”, con me c’era un vecchio mandriano di Malonno. Io risentivo di un’abbondante sudorazione ai piedi, e questo mi portava un gran disagio; il vecchio mi consigliò di mettere alcune foglie fresche di betulla sotto la pianta dei piedi. Ebbene, dopo un mese di cura il mio problema svanì, e da allora i miei piedi non hanno più avuto quel fastidioso sudore… Eh! Ai miei tempi c’erano molti rimedi naturali; ad esempio il decotto fatto d’ippocastano, che veniva somministrato alle mucche per le coliche intestinali… ”.

Incuriosita e affascinata, cominciai a prendere appunti. Ed ecco alcuni rimedi raccontati da zio Gino e da sua moglie Almina.

Per i mali d’inverno:

mettere a bollire dei fiori di Sambuco essiccati nel latte; una volta intiepidito, si aggiunge del miele e si beve il decotto aromatizzato. Questa cura è molto diffusa nelle famiglie locali; ma c’è anche un’antica ricetta contro la tosse, tramandata dalla nonna “Spiritelli”, cosi dice Almina: si prepara un decotto fatto con il lichene, orzo, fichi, mela e buccia d’arancia. Una volta cotto, si filtra il tutto e si beve caldo.

Unguento delle ernie:

un altro rimedio senza tempo è il così definito “unguento delle ernie”; questo veniva impiegato soprattutto per cicatrizzare e far rientrare l’ombelico dei neonati. Questo medicamento ora sta scomparendo, ma sembra che fino ai primi anni Ottanta venisse spesso usato.
Prendere ½ misura di resina d’abete e ½ misura di burro. Cuocere lentamente per sei ore fino a quando il concentrato diventa scuro come la pece.

Unguento aggiustaossa:

ecco la pomata segreta degli “aggiusta oss”: questo intruglio è composto da assenzio e fiori di camomilla ben triturati nel mortaio e poi amalgamati con la “sugna” (grasso di maiale). Questo balsamo veniva impiegato dai famosi “aggiusta ossa”: ogni paese che si rispettava aveva questo mitico personaggio, che con la sua magica abilità guariva distorsioni, slogature, spasmi muscolari; e questo intruglio alleviava i vari tipi di dolori.

 

Lungo il cammino delle affascinanti ricerche delle tradizioni popolari, la sorte mi ha fatto incontrare Maria Mazzucchelli, ottima collega e buon’amica, che abita a Cortenedolo, paesino poco lontano da Vezza d’Oglio. Maria è una grande appassionata delle terapie olistiche oltre che delle erbe. Nei momenti di tranquillità mi descrive con entusiasmo le sue escursioni alla ricerca di quell’erba o quelle bacche per i suoi profumati infusi, ma il racconto che mi ha colpito maggiormente è stato quando mi ha descritto il miracolo del “unguent delle het sorc”. Così Maria racconta:

Non è successo molto tempo fa, un signore qui di Cortenedolo si era fatto male al piede, lui un po’ per trascuratezza e un po’ per pigrizia ha ignorato l’infortunio, ma con il tempo la situazione peggiorava, fatto sta che fu portato all’ospedale d’Edolo dai parenti seriamente preoccupati. La diagnosi non fu certo lieta, parte del piede si era incancrenito, gli furono amputate due dita; dopo alcuni giorni di degenza fu dimesso dall’ospedale, con la raccomandazione di tornare ogni settimana per il controllo e l’applicazione terapeutica, purtroppo il timore che la cancrena invadesse ulteriormente il piede era forte, cosi i medici affidarono la cura del malato ai parenti con la premessa che fosse medicata quotidianamente. Ebbene! Cominciarono a curarlo con l’unguento e dopo due settimane, quando tornarono al secondo controllo medico, il piede era pressoché ristabilito. La meraviglia del medico fu talmente smisurata che volle assolutamente la ricetta di questa pomata… Io l’ho sempre con me, in casa non manca mai, questo rimedio è molto vecchio, mia madre Domenica, che ora ha novantadue anni l’ha appreso a sua volta da sua madre…

 

Unguent delle het sorc (unguento delle sette sorti)
100 grammi di sugna (grasso di maiale)

100 di burro
100 di olio extravergine oliva
100 di resina d’Abete
100 di trementina di Larice
100 di cera d’api vergine

Far cuocere lentamente tutti gli ingredienti a fuoco basso, mescolando continuamente, fino a quando gli elementi saranno amalgamati e formeranno un liquido ambrato, poi filtrare il tutto; aggiungere un tuorlo d’uovo, mescolare e invasare ancora caldo.

Nel metodo tradizionale, la raccolta della trementina di Larice avveniva solo quando la pianta stessa veniva squarciata da un fulmine: la ferita inferta al tronco faceva scendere il prezioso ingrediente. Ad ogni modo, c’è una tecnica che gli anziani di queste valli hanno tramandato per procurarsi il pregiato fluido; in primavera, quando la luna è crescente, si fanno delle piccole incisioni a spina di pesce sui tronchi dei larici, in fondo alle scalfitture si colloca un piccolo contenitore per la raccolta della trementina. Onestamente non ho ancora provato a preparare l’unguento, ma sicuramente gli ingredienti qui non mancano, la cera d’api dello zio Gino, l’olio d’oliva del lago d’Iseo, i larici e gli abeti che impreziosiscono la valle, e il buon burro casereccio dei contadini.

 

Autore: Katia
Messo on line in data: Settembre 2005