GUSTAV MEYRINK di Devon Scott

La Vita

Gustav Meyer nacque a Vienna, nell’albergo Blauer Block, il 19 gennaio 1868, da Maria Meyer (attrice bavarese di origini ebraiche) e dal barone Karl Freiherr von Varnbuler und zu Hemmingen, ministro dello stato del Wurttenberg e di trentadue anni più vecchio della donna. Figlio illegittimo, ricevette comunque un’ottima educazione; fece le scuole inferiori a Monaco, dove la madre lavorava nel Teatro di Corte, poi ad Amburgo, infine al ginnasio di Praga, dove si distinse per la sua bravura.
Terminati gli studi, nel 1889, pur giovanissimo, fondò una piccola banca, la Meyer e Morgenstern, in società con un amico. Nel 1891, in un momento personale molto critico, tentò il suicidio. Per fortuna, il tentativo non riuscì ed egli si accostò al mondo del paranormale. I suoi interessi si rivolsero soprattutto alla preveggenza e alla percezione extra-sensoriale; fece pericolosi esperimenti con droghe e veleni, rischiando spesso la vita. L’anno seguente si sposò con Hedwig Aloysia Certl. Divenne un uomo di successo e piuttosto ricco, ma il matrimonio naufragò molto presto; i due coniugi si fecero la guerra per anni, perché la moglie rifiutava di concedergli il divorzio.

A partire dal 1893 egli fu affiliato a diverse società iniziatiche, tra cui la Massoneria, i Rosacruciani, la Teosofia, l’Ordine degli Illuminati; cominciò anche a praticare lo yoga per motivi di salute (aveva il diabete e una tubercolosi del midollo spinale) e ad interessarsi di alchimia a cabala.
Nell’agosto del 1896 incontrò Philomena Bernt, che in seguito sarebbe diventata la sua seconda moglie. Ai problemi familiari si aggiunsero quelli di lavoro: nel 1901 voci calunniose insinuarono che egli fosse coinvolto in oscure pratiche occultistiche e addirittura si avvalesse dell’aiuto degli spiriti per aumentare i suoi guadagni e anche per sedurre le donne.
Denunciato, conobbe il carcere: un’esperienza terribile per lui che, riconosciuto innocente e poi completamente riabilitato nel 1902, si ritrovò però rovinato (finanziariamente e socialmente) dalle false accuse e dovette dare fallimento. Proprio nell’ottobre del 1901 aveva pubblicato il suo primo racconto, Der heisse Soldat (il soldato bollente) sulla rivista Simplicissimus, con lo pseudonimo di Meyrink, che era il nome dei nonni materni. Uscito dal carcere, ne pubblicò altri e nel 1903 la casa editrice della rivista gli pubblicò un libro di racconti. Stroncato dai critici e amatissimo dai lettori, decise di lasciare Praga, con tutte le esperienze penose che associava alla città. Trasferitosi a Vienna, radunò intorno a sé un circolo di studiosi che condividevano i suoi stessi interessi letterari ed esoterici. Nel 1905 la moglie gli concesse, finalmente, il divorzio ed egli sposò Philomena in Inghilterra.

Il matrimonio fu felice e saldo; la moglie era tubercolosa, ma egli la curò con bagni freddi e dieta, e lo fece tanto bene che la donna morì quasi centenaria. L’anno seguente ebbero una figlia, Sybille, che nacque in Svizzera, dove si erano rifugiati per sfuggire al carcere, date le posizioni antimilitariste di Gustav, poi un maschio. Nel 1911 tutta la famiglia si trasferì a Starnberg, una cittadina lacustre vicina a Monaco. Furono anni abbastanza sereni, anche se con alternarsi di periodi di difficoltà e di tranquillità economica, e di successi letterari, che gli attirarono violenti attacchi da parte di certa stampa.
Nel 1915 uscì Il Golem, che ebbe subito un enorme successo. Egli fece richiesta per cambiare legalmente il cognome Meyer in Meyrink; comprò anche una casa in Baviera, anche se poté andarci molto di rado a causa delle precarie condizioni di salute. Nel 1932 l’amatissimo figlio Harro, bello, intelligentissimo e campioni di sci, ebbe un incidente che lo costrinse sulla sedia a rotelle; il 12 luglio il ragazzo uscì di nascosto, reggendosi, sulle stampelle, e fu poi trovato morto nel bosco. La morte parve un suicidio mascherato; Meyrink cominciò a declinare e morì il 4 dicembre dello stesso anno. In una lettera la moglie rivelò che egli, salutati i suoi, si era seduto in camera con la finestra aperta, a torso nudo nonostante la temperatura rigidissima: con ogni evidenza, si era lasciato morire. Fu sepolto nel cimitero di Starnberg.

 

Le opere

In italiano si trovano questi libri, di Meyrink e su Meyrink:
Il Golem e altri racconti, a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, Edizioni Newton, 1994.
La casa dell’alchimista, con saggio introduttivo di Gianfranco de Turris, Edizioni del Graal, Roma, 1981.
Il diagramma magico, con prefazione di Gianfranco de Turris, Basaia Editore, Roma, 1983. E’ una raccolta di articoli di taglio molto moderno sulle sette, il misticismo, i ciarlatani della magia.
L’angelo della finestra d’Occidente, con introduzione di Julius Evola, Basaia Editore, Roma, 1983.
La morte viola, con un saggio di Gianfranco de Turris, Edizioni Reverdito, Trento, 1988. E’ una raccolta di racconti dal 1901 al 1908.
AA.VV.
Meyrink scrittore e iniziato, di Autori Vari, con prefazione di Gabriele La Porta, Basaia Editore, Roma, 1983. E’ una raccolta di opinioni su Meyrink di studiosi del calibro di Serge Hutin, Herman Hesse, Massimo Scaligero, Raymond Abellio, Julius Evola e molti altri.

 

L’opera più famosa è Il Golem (1915), da cui furono tratti diversi film. Athanasius Pernath, il protagonista, è un uomo che sa di avere un passato tragico e misterioso, ma non riesce a ricordarlo; vive nel ghetto, circondato da persone strane e sgradevoli, in un ambiente da incubo.

Spesso, in sogno, assisto alle spettrali comunicazioni che si scambiano queste vecchie case, e mi rendo conto con terrore che loro sono in realtà i veri padroni di questa strada, della sua vita e della sua essenza, alla quale possono rinunciare a piacere, imprestandola agli abitanti durante il giorno e riprendendosela, con interessi esorbitanti, durante la notte. Per non parlare degli strani esseri che vivono fra le loro mura, esseri non di carne, né di sangue, i cui fatti e misfatti sembrano accadere senza un piano. (…) Sempre più mi convinco che quei sogni nascondono qualche profonda verità, che luccica debolmente nella profondità della mia anima, come il fievole riflesso dell’arcobaleno di una favola, durante la veglia. Allora, non so come, mi torna in mente la leggenda del misterioso Golem, l’uomo meccanico che tanto tempo fa, qui nel ghetto, un saggio rabbino creò utilizzando i quattro elementi; poi gli diede una sterile vita di automa, rinserrata in una formula magica che egli gli pose fra i denti (1).

Ogni trentatré anni il Golem appare alla finestra di una stanza senza porte, situata vicino alla casa di Pernath, in Altschulegasse. Chi lo incontra resta come paralizzato, esattamente come succede al protagonista, che dopo l’esperienza viene riportato da amici nella sua casa, dove trova il vicino Hillel che gli spiega che cosa è successo.

Non c’è niente di strano in tutto questo. Solo il soprannaturale può incutere terrore nell’uomo. La vita ferisce ed irrita come un cilicio, ma i raggi del sole del mondo spirituale sono dolci e ci recano conforto. (…) Il Golem raffigura il risveglio dell’anima attraverso la vita più intima dello spirito. Ogni cosa sulla terra non è che un simbolo perenne, rivestito di polvere. Impara a pensare con i tuoi occhi. Pensa con i tuoi occhi ed osserva attentamente tutte le forme: tutto ciò che ha preso forma era prima uno spirito. (…) Colui che è stato destato non si addormenterà più (2).

A questa fortunatissima opera seguirono Il volto verde (1917), La notte di Valpurga (1918), Il Domenicano bianco (1922) e L’Angelo della finestra d’Occidente (1927). Abbiamo poi La casa dell’alchimista, romanzo incompiuto, che sarebbe diventato forse il suo capolavoro, se egli non fosse morto.

Uno dei temi ricorrenti nei libri di Meyrink è un filo che unisce una personalità presente a una del passato, che ha vissuto intense esperienze magiche; i personaggi fanno venire alla luce i loro ricordi inconsci per ritrovare la trama delle loro esistenze e delle loro conoscenze passate. Così ne’ L’angelo della finestra d’Occidente il barone Muller scopre di avere in sé l’anima del suo antenato John Dee, il grande mago elisabettiano; ne’ La notte di Valpurga Zrcadlo assomiglia in modo impressionante al fratello morto del protagonista; ne’ Il Domenicano bianco Colombier discende dai von Focher, una famiglia di alchimisti; ne’ La casa dell’alchimista l’orologiaio Gustenhover discende dall’alchimista proprietario della casa, dimora che sembra esercitare la sua influenza su tutti gli abitanti.

Meyrink affermava di “scrivere sotto dettatura di intime voci” e di prendere il materiale per i suoi libri nelle visioni oniriche. Questa fu la caratteristica che suscitò velenosissime critiche da parte dei contemporanei, fraintendimenti e ridicolizzazioni in epoche più recenti: le sue opere furono definite “paccottiglia”, “fumettoni dell’orrore”, “ciarpame negromantico”, l’autore fu tacciato di mediocrità, di decadentismo, di ciarlatanesimo mistico e di irrazionalismo. Probabilmente si deve a queste opinioni la pessima fama di Meyirink, etichettato come scrittore da quattro soldi dai critici letterari e come autore affascinante e “magico” dai suoi lettori. Come disse Herman Hesse:

Migliaia sono le persone che oggi fanno pagare a Gustav Meyrink i suoi folgoranti successi. Per cominciare, si è lasciato per vent’anni questo scrittore scrivere i suoi raccontini divertenti, acidi, spesso pieni di spirito, senza concedergli un briciolo di attenzione. (…) Adesso, quando ha scritto cinque romanzi che gli son valsi un inaudito successo, si verifica la regola del ritorno di fiamma: ogni grande successo si mette di colpo a risvegliare i sospetti, e sul fortunato eletto cominciano a piovere pietre (3).

Le opere di Meyrink riflettono i suoi interessi e i suoi studi e sono letteralmente intrise di esoterismo, magia, alchimia, per cui esistono due piani diversi di lettura: quello superficiale della letteratura fantastica d’evasione (con tutte le sue esagerazioni) e quello profondo dell’insegnamento esoterico nascosto sotto un velo. Un velo piuttosto trasparente, per la verità: la sapienza cabalistica, quella massonica e rosacruciana, i principi dell’opera alchemica, perfino il tantrismo e il taoismo, emergono in modo chiarissimo nel pensiero e nel comportamento dei personaggi dei suoi libri.
L’autore stesso disse che:

espediente dell’opera d’arte consiste – almeno io sono di questa opinione – nel fatto che, dietro lo svolgimento, come pure dietro i protagonisti, vi sia un senso profondo, cosmico, non individuabile a prima vista. E’ chiaro che tale significato deve manifestarsi solo ai lettori più attenti: il senso più profondo non deve mai agire in modo apparente (4).

Per citare di nuovo Herman Hesse, il successo di Meyrink si deve non solo alla sua sapienza esoterica, ma ai personaggi veri e “finemente spiritualizzati“, a opere che rompono con le convenzioni vigenti, al fatto che egli non soltanto aveva qualcosa da dire, ma che per tutta la vita ebbe il coraggio di dirlo e di essere sempre se stesso.

 

Note
1- Da Il Golem e altri racconti di Gustav Meyrink, a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, Edizioni Newton, 1994.
2- Da Il Golem e altri racconti, opera citata.
3- Da Meyrink scrittore e iniziato, di Autori Vari, con prefazione di Gabriele La Porta, Basaia Editore, Roma, 1983.
4- Da La casa dell’alchimista, con saggio introduttivo di Gianfranco de Turris, Edizioni del Graal, Roma, 1981.

 

Autore: Devon Scott
Messo on line in data: Dicembre 2007