RACCONTO: LA FATA DEL FLAUTO di Graziella Caropreso

La neve era caduta tutta la notte e continuava a cadere a grossi fiocchi, aveva ormai ricoperto tutto il paesaggio che si vedeva dall’angusta finestrella della vecchia casa. Il silenzio ovattato, tipico del bianco paesaggio, metteva una strana frenesia addosso: uscire di casa al più presto per andare a immergersi in quel mare di panna…
Tra non molto la vallata si sarebbe riempita di gente con gli slittini, escursionisti e turisti con la macchina fotografica in spalla. Quella parte di mondo infatti, era assai pittoresca e molto apprezzata dai viaggiatori. Anche Lucilla pensò di farlo, si vestì in fretta e dopo una frettolosa colazione, si precipitò fuori: il gelo era tale che l’aria sembrava cristallizzata; quasi da sentir male ad aprir la bocca per respirare. Imboccò un sentiero che saliva nel bosco; a dire il vero, si percepiva appena che ci fosse un sentiero per la tanta neve che tendeva ad equiparare tutto, i tetti delle case con quelli delle macchine, o i muretti a delimitare i campi.
La direzione scelta da Lucilla si allontanava dall’abitato, entrava invece nel bosco di carpini e querce, che avrebbero poi più in alto ceduto il posto alle faggete e poche conifere. Il fiato le usciva vistosamente durante il cammino impegnativo, formando tante nuvolette dense nell’aria.

Lucilla camminava spesso nei suoi boschi, era abituata ad alzarsi all’alba e gettarsi fuori nelle braccia della natura, senza timore di far cattivi incontri o di perdersi, come le prospettavano le donnette del paese; con tutte le loro assurde credenze e superstizioni, vedevano il pericolo in ogni dove. Lucilla invece incedeva fiduciosa, facendosi largo tra le fronde degli alberi, passava sotto grandi cespugli intricati di rovi e vitalbe o caprifogli. Ad ognuno di loro riservava parole gentili, non li trovava affatto sgradevoli a causa delle spine, li vedeva semplicemente per ciò che erano, forme della natura. Ogni tanto si fermava in totale silenzio ad ascoltare le parole della montagna, i sussurri delle fronde, gli scricchiolii delle rocce e gli urli dei torrenti, gli spruzzi del vento che portava con sé coriandoli di neve e non di meno tutti i racconti degli animali: le civette brontolavano sempre quando faceva l’alba, per loro era ora di rientrare a casa forse con magro bottino. Si levavano i primi canti dei galli per ricordare a tutti di alzarsi e iniziare i lavori.
Ma quel mattino, pur essendosi spinta ormai su un poggio da cui si godeva un bel panorama, non si udiva proprio alcun rumore, alcun suono familiare. Lucilla, pensosa, osservava la situazione intorno a lei, anche in fondo alla valle stranamente non si avvistava ancora nessuno dei turisti rumorosi e colorati di sempre. Che strano…

La neve non cadeva più e il cielo si era aperto, di un azzurro abbagliante; si sedette a mangiare una barretta di cioccolato fondente al miele e a riposare un po’. Le si fece strada in mente un discorso sentito giù in paese del tempo prima, sicuramente l’ennesima sciocchezza del popolino, ma che attirò la sua attenzione, in quanto c’era scritto qualcosa del genere anche sul giornale di qualche giorno prima; lei vi aveva dato poco peso ma ora il pensiero si faceva più insistente: pare che anni addietro una villeggiante abituale di quei luoghi, venuta per sciare sulle piste più impervie, fece perdere ogni traccia di sé in una bella giornata nevosa, come quella di oggi appunto. La ragazza abile sciatrice e esperta di montagne, era solita partire all’alba col suo equipaggiamento da sci-alpinismo facendosi accompagnare dal suo cane Husky, fido compagno che non l’abbandonava mai. La gente del paese non iniziò a preoccuparsi se non dal giorno dopo, poiché la ragazza era solita rientrare col buio in paese e molti l’avrebbero incontrata solo il giorno seguente. Passarono i giorni e le settimane, della ragazza nessuna traccia; la cercarono moltissimo con tutti i mezzi possibili: era sparita nel nulla assieme al cane Husky, anche di lui non vi fu più nessuna traccia. I primi tempi si fece un gran parlare, poi come tutte le cose, sempre meno fino quasi a dimenticare l’intera faccenda. La tipa strana era una straniera, come tutte quelle lì un po’ stravagante e stramba; in fin dei conti non sorprese neppure più di tanto che fosse finita male.

Questo il massimo dell’apertura mentale in quell’angusta valletta.
Lucilla pensò:  “E£ se ora me la ritrovassi davanti? Che le direi?”
Riprese il cammino; il paesaggio era bellissimo, mozzafiato, c’era un sole splendente nel cielo e dei contorni nitidi, tanto da poter vedere chiaramente i particolari nella montagna di fronte. Si riteneva fortunata a vivere in un posto così bello, molti invece non capivano come potesse sentirsi al sicuro nell’ultima casa alle pendici del monte, completamente isolata dal paese; a vederla da giù, sembrava che le grandi querce stessero per inghiottirsela nelle folate di vento; insomma non un posto dove potesse abitare una ragazza da sola. Un posto invece straordinario per Lucilla e per i suoi sette gatti che adorava e con i quali parlava molto più volentieri che con le persone.
Così tra tanti pensieri e ragionamenti, giunse fino alla grande faggeta, dove le piaceva trovare le tracce dei lupi lasciate durante le loro scorribande notturne. Immaginava che emozione se li avesse visti, certo non è da tutti incontrare faccia a faccia i lupi liberi nel bosco! Non aveva paura, Lucilla non aveva mai paura degli animali.

Così imboccò la direzione nord, quella che portava appunto al cosiddetto “Passo del Lupo”; ci sarebbero volute almeno tre ore di cammino di buon passo per arrivare fin lassù, ma lei non aveva fretta e da là il panorama era davvero superlativo, ma non solo quello, anche una particolare atmosfera quasi magica ispirava quel luogo. C’era da aspettarsi da un attimo all’altro che qualche folletto scappasse fuori da dietro un albero, invece le sembrò di sentire in lontananza una musica, solo a momenti, Lucilla stava zitta e tendeva l’orecchio per captare meglio, ma si sentiva solo a tratti: che fosse arrivato qualcuno lassù prima di lei? Così continuò a camminare, spinta dalla curiosità. Il sentiero non si vedeva più, la neve era caduta in abbondanza davvero e risultava veramente difficile seguirlo. Ora si trattava di proseguire a sensazione, il posto lo conosceva bene, si sarebbe affidata all’intuito e ad altri particolari familiari del bosco.

Dietro a un grande masso c’era un prato esteso, una bella coperta verde, oggi completamente bianca e silenziosa, Lucilla lo attraversò fino alla parte opposta dove ricominciava il bosco, quando a un tratto fu attirata dalla solita musica, stavolta più percepibile, pareva un flauto o qualcosa di simile. Affrettò il passo, piuttosto difficoltoso in quanto la neve le arrivava ormai al ginocchio, poi una folata di vento le portò delle note musicali molto più forti: ora le sembrava di capire da dove venissero. Cambiò direzione in cerca di quel suono e dopo nemmeno duecento metri, in una conca riparata, si trovò in una situazione davvero particolare: da un faggio cadevano a terra tante foglie a getto continuo, come se l’albero le producesse e le perdesse continuamente in una improbabile pioggia e la musica forte proveniva proprio dall’albero!
Lucilla credette di sognare, non credeva ai propri occhi, si avvicinò al faggio toccandone la bella corteccia tipica e si accorse che vibrava come percorsa da un forte vento al suo interno: l’albero dal tronco vuoto funzionava appunto da flauto che qualcuno stava suonando! E le foglie cadevano perché staccate dal vento in uscita verso i rami; decise di vederci chiaro, aggirò il tronco del grosso faggio e toccandolo improvvisamente si trovò al suo interno e cadde diversi metri sotto terra dove il vento era fortissimo, da non reggersi in piedi, si sentì un po’ come Alice quando entra nel sogno, ma non c’erano strane creature, solo un fortissimo vento.

Era quello che soffiando dentro il tronco dell’albero lo faceva suonare come un flauto; la cosa strana era da dove venisse il vento in una giornata così calma. A fatica cercò di aggrapparsi a delle grosse radici per ritornare in superficie, riuscì non senza sforzi ad acchiapparne una e a risalire alla terra ai piedi dell’albero con enorme fatica. Si lasciò cadere stremata a terra per recuperare un po’ di fiato; il sole di mezzogiorno era abbagliante e ritto su di lei, chiuse gli occhi abbandonandosi al tepore di quel luogo tranquilla. Qualcosa di umido le toccò la faccia e la fece sobbalzare: un grosso cane Husky dal pelo molto lungo, quasi tutto bianco e con magnetici occhi azzurri, la stava fissando; Lucilla ripensò subito alla faccenda della sciatrice scomparsa, quello era proprio il suo cane, anche se sembrava più grosso di come se lo ricordava. Ciò stava forse a significare che da qualche parte poteva esserci ancora la ragazza? Oppure il cane era sopravvissuto alla sua padrona inselvatichendosi nei boschi?

Lucilla si alzò; il cane se ne stava andando, così gli andò dietro, scendendo per il ripido sentiero sul fianco nord della montagna. Non era facile seguirlo, lui procedeva a balzi mentre lei arrancava nella neve alta. Non c’erano altre impronte né di animali né umane, si chiedeva dove mai l’avrebbe condotta; il cane si fermava ogni tanto ad aspettarla voltandosi indietro, fissandola con quegli occhi profondi e impenetrabili. Dopo un cammino che a Lucilla parve non finire mai, si ritrovò in una parte del monte dove non era mai stata, era un luogo molto bello: dalla neve sbucavano tantissimi crochi violetti, ce n’era una distesa infinita a perdita d’occhio. Il cane si mise a scavare una buca sotto a un faggio, con calma e determinazione e poi d’un tratto vi si gettò dentro, Lucilla lo vide sparire nella terra, si affacciò ma non vide nulla di più di un grossa buca, il cane ne era stato come inghiottito. Si sedette, stavolta veramente esausta, non sapendo più cosa pensare; si sentiva sfinita nel fisico per le ore che aveva camminato nel bosco ed aveva anche finito la cioccolata, aveva fame e sete, insomma la situazione non era più così idilliaca; della ragazza non c’era traccia e cominciava a pensare che il cane non fosse mai neppure esistito. Forse si era addormentata ed era stato tutto un sogno, proprio come Alice nel paese delle meraviglie?
Una brezza leggera si era sollevata e le pareva pure di risentire il suono del flauto, stavolta rimase immobile, non sapeva più cosa fare né dove andare, non cercò di capire da dove venisse. Il sole era tiepido sul viso, chiuse gli occhi e si lasciò andare, dopo essersi riposata avrebbe ripreso la strada di casa. Il sonno ebbe la meglio su di lei; risvegliandosi dopo diverse ore, il sole era quasi calato; stranamente non aveva freddo benché avesse dormito un bel po’ di tempo all’aperto in pieno inverno, anzi si sentiva ben ristorata, non aveva fame, sete, nulla di nulla. Pian piano riprese la direzione del ritorno.

La mattina dopo una bella notte di sonno, aprì le finestre, ammirando il solito bel paesaggio innevato, e vide in giardino una gran fioritura di crochi violetti, identici a quelli nel bosco del giorno prima. Lucilla non ricordava di averne mai piantato i bulbi, era un mistero da dove spuntassero tutti quei fiori; facendo il giro intorno a tutta la casa, erano così tanti che non si potevano contare…
Si sentì improvvisamente osservata, alzò lo sguardo e incontrò due profondi occhi color del cielo: il grande cane Husky la stava fissando; Lucilla uscì dal giardino per andargli incontro, ma lui corse via velocissimo, si mise ad inseguirlo lungo la strada per il paese, ma poi sparì fra le case e ne perse le tracce; stanca e ansimante si fermò appoggiata al muro di una casa, si accorse di un paio di sci appoggiati più in là, abbandonati lì senza proprietario, li raccolse per andare a portarli alla casa delle guide alpine.
Entrò, c’erano diverse persone a discutere concitatamente: parlavano della fata del flauto che era tornata alla valle dopo tanti anni, alcuni di loro ricordavano discorsi fatti dai vecchi del paese, di quando le note del grande flauto riecheggiavano per tutta la valle e i cani cominciavano a correre come impazziti. Lucilla consegnò gli sci a uno di loro che non vi badò neppure…

 

Autore: Graziella Caropreso
Messo on line in data: Gennaio 2006