I LUOGHI DELLE TRIPLICI CINTE IN ITALIA di Marisa Uberti e Giulio Coluzzi

I luoghi delle Triplici Cinte in Italia di MARISA UBERTI E GIULIO COLUZZI
Edizioni Eremon, Cisterna di Latina, 2008, 320 pagine, illustrazioni in B/N, Euro 19,00
www.eremonedizioni.it

 

E’ finalmente in libreria, con la prefazione di Roberto Volterri, il saggio di Marisa Uberti e Giulio Coluzzi sul poco conosciuto simbolo della Triplice Cinta. Costituito da un triplice quadrato concentrico, esso ricorda lo schema del gioco del Filetto, che si trova sul retro di tante scacchiere. E proprio questo ha incuriosito i due autori, quando lo hanno trovato in Francia nel castello di Chinon, che fu luogo di prigionia per alcuni cavalieri Templari. Era un gioco fatto dai prigionieri per passare il tempo, oppure un graffito misterioso che alludeva a ben altro?

Dopo aver raccontato la storia di questo gioco antico ingannevolmente semplice, comune a tutte le latitudini e amato da grandi e piccini, ne vengono spiegati gli aspetti simbolici, a partire dall’arte rupestre fino a oggi.
La Triplice Cinta si trova quasi sempre in aree sacre, siano esse chiese, templi o comunque luoghi teatro di culto, per cui si pensa che servisse per “sacralizzare”, per segnare avvertendo che si era in presenza di una zona riservata a cerimonie religiose o comunque con una valenza magico-rituale. Potrebbe anche essere affine al labirinto, per cui indicherebbe un percorso iniziatico. L’esoterista Paul Le Cour ipotizzò che la Triplice Cinta rappresentasse i tre cerchi dell’esistenza della tradizione celtica, René Guénon ci vide i tre gradi dell’iniziazione, tanto più se il simbolo presenta un punto centrale (il Centro Sacro, l’asse del mondo, l’omphalos). Per altri ancora appartiene al Cristianesimo e indica i tre mondi: quello terrestre, il firmamento e il mondo celeste, sede del Divino. E non dimentichiamo che la Triplice Cinta fu descritta da Platone nella pianta di Atlantide…

Quella dei “Centri Sacri” è una ipotesi affascinante, che gli Autori analizzano a fondo. Essi si trovano in tutto il mondo, in Giappone come in Tibet, nell’antico Egitto e nelle Americhe, in  India come presso gli Assiro-Babilonesi, sia in forma quadrata che circolare (ruota del Sole, ruota della vita), semplici, raddoppiati o quadruplicati. La loro presenza è legata a miti ancestrali che si richiamano alla Madre Terra e alle pietre sacre, i “Betili”, che indicano le manifestazioni del Divino; o forse sono il contrassegno di centri

di energie fisiche (correnti telluriche, magnetiche e cosmiche) che possono venire esaltate da un raggruppamento di persone legate da alta spiritualità“.

Per questo gli esoteristi sono soliti ricercare questi punti fisico-psichici per compiere il loro lavoro rituale e potenziarne gli effetti.

Dopo questa sezione teorica, i due Autori passano alla parte pratica, censendo tutte le Triplici Cinte che sono riusciti a scoprire in Italia. Vengono indicati i luoghi, le caratteristiche e il contesto del ritrovamento, i collegamenti con la storia, le leggende sul luogo ed eventuali ipotesi. L’indagine, la prima in Italia su questo simbolo, è stata molto accurata e approfondita, ma è impensabile che qualcosa non sia sfuggito… e per questo siete tutti invitati a trasformarvi in detective del mistero! Segnalate a Marisa e a Giulio la presenza di altre Triplici Cinte non comprese tra quelle elencate, e potrete arricchire la conoscenza dei luoghi “magici”e di potere che si trovano nel nostro paese (Recensione di Devon Scott).

 

Marisa Uberti è ricercatrice e articolista, appassionata indagatrice di misteri e simbolismo.
Giulio Coluzzi è ingegnere e studioso di templarismo, simbolismo e geometria sacra.
Per altre notizie sugli Autori e sul libro, leggete la loro intervista.

 

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Commento di Alexandra Aries
Il ‘vedere’, la visione di quanto circonda l’essere umano, il suo interagire con elementi intrisi di mistero, con il Mistero nella sua natura, con le arcane presenze, la magia attiva e contemplativa, è troppo spesso dinanzi ai suoi occhi, in plausibile modo. Nella limpidezza degli aspetti più reconditi, forme, dimensioni, armonie, colori, materia più o meno definita. Tuttavia, ed è questa la vera novità, l’assurdo, l’uomo sembra non percepire, fino in fondo, totalmente quanto di misterioso è racchiuso in simboli, segni, significati che l’occhio, ancor prima che l’intelletto, dovrebbe essere in grado di osservare, intuire, far propri. Spesso accade che, elementi molto semplici quali un graffito, un disegno di linee tracciato su lastra di pietra, non attirino, da subito, l’interesse dell’osservatore, come se folti coltri di nebbia celassero il tutto, quelle stesse cose che, magari, da secoli, sono alla portata di tutti, visibili da tutti, ma misteriosamente invisibili, inconoscibili ai più. Infatti, capita sovente di trovarsi dinanzi a strani oggetti, manufatti antichi di non facile lettura, o semplicemente un chiaro segno indicativo di un profondo messaggio, e di non saper vedere. Come se il tutto sfuggisse alla nostra attenzione di curiosi osservatori. A motivo di quanto appena fatto cenno, due singolari e originali autori si sono cimentati nel prendere le redini di quest’insolito problema, e dopo averlo a lungo analizzato, studiato, ricercato in molti siti più o meno legati ad eventi storici, cronologici, sacri hanno dato vita ad una particolarissima opera che considera e apre alla comprensione e approfondimento della ‘Triplice Cinta’. Per la precisione, il complesso lavoro di ricerca e studio ha per titolo: I Luoghi delle Triplici Cinte in Italia di Marisa Uberti e Giulio Coluzzi, per la Eremon Edizioni, che vede la prefazione del Dr. Roberto Volterri.

Un’opera che tendenzialmente apre una breccia in quelle coltri nebbiose, velami che ostacolano, solitamente, nei soggetti osservanti, la lineare comprensione del particolare nel globale dell’artefatto. Nell’intimo, semantico significato e valore di un ipotetico ‘messaggio’ racchiuso enigmaticamente tra le spire di linee che si concentrano in quella dimensione di spazi e numeri, quale solo la geometria può offrire. Indagare, investigare, scoprire come, casualmente, o volutamente, molti luoghi sparsi geograficamente e per distanza, esprimono una medesima cosa mediante un simbolo, un segno, un inafferrabile tratto inciso su fredda lastra marmorea, o altri materiali elaborati da mano umana. Dunque, ricercare intorno e sulla ‘Triplice Cinta’, per penetrare un affascinante ed insolito mistero che sembra costellare numerosi siti della terra. Molti conosciuti, recensiti, altri, pensabile, ancora da scoprire, ritrovando un ennesimo ‘segmento’, che possa dar luce a nuovi impeti di studi. Motivo di fondo dei due autori è stato – quasi un imperativo letterario ed archeologico – di cimentarsi arditamente in una complessa indagine intorno alla Triplice Cinta, che li ha portati, e non facilmente, a considerare molteplici luoghi in territorio italiano – e non solo – da Nord a Sud, con una serrata recensione e mappatura di tutti i siti, aree templari che custodiscono questo singolare aspetto dell’archeomistero. In vero, penso che un’originale impresa di studio – fatto con metodo e tecnica – in quest’ambito era doveroso e alquanto necessario per dare lustro ad una particolare presenza di un simbolo che vive da tempo memorabile nella cronologia umana, e nella cultura tradizione di vari popoli.

Il libro, di elevato spessore, scorre nella concretezza di fogli che offrono un vero cammino di Luce, sia in ambito archeologico, storico che misteriosofico. Per adeguare il lettore ad un innato desiderio di approfondire, spaziare oltre l’orizzonte di quelle nere linee che van riempiendo le caste pagine, ad una ad una. Sfogliando l’intenso lavoro di indagine – in cui non manca adeguato apparato iconografico – si apprende di come uno stesso ‘mistero’ sia presente in Lombardia, Veneto, Umbria, per giungere, in ultimo, in Sardegna. Esattamente, trattasi di ‘arcani/misteriosi’, presenti costantemente ai nostri occhi, ma mai notati, intercettati, valutati nell’intimo della loro natura, e significativa simbolicità! Basiliche, facciate di antiche chiese, muretti, chiostri nascosti dall’ombra di frondosi alberi, celano queste intriganti Triplici Cinte che indubbiamente hanno molto da svelare, raccontando di remote storie, e di straordinari uomini che la Storia edificarono. Forse, un solo, unico filo lega e collega la prima in assoluto con le restanti, ammesso che vi si possa intravedere, ritrovandola nella simbologia, il primevo segno che coronò tutti gli altri. Un accorato desiderio di conoscere, a questo punto, emerge fortemente: perché questi simboli? Cosa indicherebbero? Quanto esprimono in vero nella loro natura? Quale mano fece tanto?

Triplice Cinta, ma cos’è mai questa dicitura? I più si saranno, ormai, posti l’oscuro quesito, quasi un pitagorico annoso problema, e la fantasia sta di già galoppando veloce, come il vento, per risolvere l’enigmatico dilemma! Ebbene, è presto detto, svelato l’arcano, altro non è che il principio in atto ludico, semplicemente un gioco di trascorsi eoni, e… di recentissimo tempo. Per ingannare le lunghe ore al tramontare del Sole nelle calde giornate estive, o nelle gelide notti invernali. Puramente un passatempo che ingegna la mente risolvendo situazioni che richiedono, tuttavia, la massima e rapida attenzione. Curiosamente, inconsapevolmente, se pur in sincronicità, i due autori, lontani per spazio e conoscenza, hanno dato il via alla ruota del fato attivando un comune, quanto insolito, interesse, che in breve li avrebbe condotti ad una precisa meta, ed a lavorare unitamente. All’inizio fu lo stupore di entrambi nell’osservare un’insolita incisione presente nel Castello di Chinon, lasciata dai monaci/cavalieri Templari detenuti e in attesa di sentenza. “Si trattava di un graffito costituito da Triplice quadrato concentrico” (7ssg.), con diverse varianti – anche circolari – Qualcosa che ai molti poteva richiamare alla memoria il gioco del Filetto o Mulino (18-19ssg). Dunque, i Templari esprimono sulla pietra un’incisione per far trascorrere il tempo d’attesa, o propendono indicare, lasciare in eredità un occulto messaggio? L’antica Roma, seguendo il poeta Ovidio, allude di già questo modo di distrazione, ma presumibilmente conosciuto in altre culture, ed in epoche retrocedenti quella romana. Il numero tre è simbolicamente alla base di questa essenza ludica. Di fatto, in vari luoghi italiani è rilevabile questo aspetto/oggetto simbolico/ludico. Prendendo in considerazione il Tavoliere di Ungiasca (comune di Cossogno), si noterà la trasformata complessità del simbolo/gioco che si plasma per assecondare le esigenze di una determinata tradizione popolare, o culturale. Una pietra levigata e incisa esprime, di fatto, le regole di trascorsi secoli e il tempo più o meno a noi vicino. All’ombra del Colosseo, nella grande città eterna che di Roma l’impero segnò, materialmente nasce l’idea per gli autori di estendere anche qui l’interesse per la Triplice Cinta. Grazie all’intuito di un pionieristico studioso che fu attratto da strani segni incisi all’interno di una Basilica romana del IV secolo, San Paolo Fuori le Mura. 1928 il francese Paul LeCour segnala in un personale articolo inquietanti segni, simboli che devono essere compresi, per l’incidenza di mistero che rivelano ad attento spirito critico. Il passo – degli autori in questione– recita: “La nostra fotocamera ha immortalato su vari punti del muretto che circonda il chiostro, ben sei esemplari del nostro Simbolo. […] Quali di questi fu quello che tanto colpì lo studioso francese? Sono tutti autentici, ovvero, erano già presenti quando Paul LeCour scrisse il suo saggio breve nel 1928″ (pp 223-232)?

Direi che diacronicamente e sincronicamente questo simbolo/ludico, coinvolge ampio spettro della mente e azioni umane. Un altro simbolo che, come la Triplice Cinta, è stato utilizzato come base o schema per un gioco di pedine, è quello del centro sacro. Come gioco di pedine esso è noto con il nome di Alquerque. Le sue origini risalgono alla cultura tebana – antico Egitto – nel XIII secolo a.C. ( 20 sg). Pur vero è che, la Triplice Cinta, fanno osservare gli autori, è riconducibile all’arte rupestre, chiamando, così, un eone temporale fino al 12.000 a.C., e, possibilmente – penso – si può spostare ancora oltre la clessidra temporale. Ma, se fosse un dono degli Dèi? Di un parallelo luogo? Di una preesistente civiltà atlantidea? Per impugnare l’arcano, non resta che navigare lungo i capitoli – corposi – del testo in questione. Dello studio che meticolosamente approfondisce, ampliandone, il discorso oltre ogni plausibile immaginazione. Il tutto s’incentra sui luoghi che nascondono, o esprimono a pieno titolo il possedere questo insolito aspetto dell’archeologia, o volendo, delle incisioni rupestri. Il lógos intorno alla Triplice Cinta vaglia i molti siti, aree che stringono come una sottile argentea rete trasparente, le perdute conoscenze, gl’infiniti misteri strettamente legati alle misteriose linee tracciate, con evidenza, o sottilmente, su fredde lastre di pietra, che un’antica lingua parlano, esprimendone codici dimenticati dalla memoria di Cronos.

Il vero perno su cui tutto ruota è la valenza geometrica, la forza della geometria con le sue forme, il suo incomprensibile linguaggio semantico che s’esprime con la dimensionalità di linee e spazi tridimensionali. Geometria come chiave di lettura, segreto per aprire la ‘Porta’ misteriosa che fa accedere l’intelletto nell’antro custodito dalla Triplice Cinta. La ‘soglia’ spazio/tempo che è verosimilmente racchiusa nelle segrete della dimensione di un quadrato, un cerchio, di più figure concentriche una nell’altra, come i cerchi che s’espandono nell’acqua dopo che un sassolino vi si fa cadere dentro. Quanto le note musicali, potrebbero essere utili per approfondire un futuro discorso sul tema? E, se la Triplice Cinta fosse semplicemente una mappa stellare? Un’indicazione per osservare il cielo sovrastante noi? Non ci resta, a questo punto, che oltrepassare i quesiti, più o meno fantastici, per abbandonarsi anima e mente tra le molteplici pagine di questa pionieristica opera di Marisa Uberti e Giulio Coluzzi e scoprire, finalmente, la verità su ed intorno alla ‘Triplice Cinta’. Saliamo a bordo della Ruota solare e puntiamo il cuore sulla ‘Storia infinita’! Poiché gran parte è stato scritto, ma molto deve ancora aver principio, e reso noto.