LE VERGINI VESTALI E UNA CANZONE di Gaetano Dini

Una storia e una canzone

Traggo spunto per una riflessione da una canzone contemporanea e da un antico fatto storico.
La canzone è la bellissima “A whiter shade of pale” del gruppo inglese Procol Harum, uscita nel 1967.
Testo ermetico il suo, che dovrebbe parlare (alludendo anche a una novella di Geoffrey Chaucher) di una ragazza che è intenzionata a lasciare il suo ragazzo.
Il testo in inglese recita.
“She said, There is no reason and the true is plain to see. But I wandered through my playing cards and would not her be one of sixteen vestal vergins who were living for the coast…”
“Lei disse, non vedo il motivo (di non comprendere) e la verità è facile da capire. Ma io vagai tra le carte che potevo giocare e non avrei permesso che lei diventasse una delle sedici vergini Vestali che stavano partendo per la costa”.
Il significato della frase è questo: per la ragazza erano chiari i motivi per cui lasciava il ragazzo, lui invece non si dava per vinto e avrebbe giocato tutte le sue carte, cioè le sue possibilità, per impedire che la ragazza andasse via come le sedici vergini vestali che partivano per la costa europea verso Roma. 

L’antico fatto storico si riferisce alla battaglia di Aquae Sextiae combattuta nel 102 a.C. in Provenza tra Romani e Teutoni, popolo germanico.
I Teutoni furono annientati. Al loro accampamento erano rimaste solo le donne e i bambini. All’arrivo dei Romani queste chiesero agli ufficiali di aver salva la vita e di essere portate come schiave al tempio di Vesta dalle Vestali a Roma. I Romani rifiutarono e le donne prima uccisero i loro bambini e poi compirono un suicidio di massa.

Le sedici vergini Vestali della canzone “A whiter shade of pale” possono alludere a un rituale antico quando dalla Britannia potevano forse partire a intervalli temporali stabiliti sedici ragazze vergini alla volta del tempio di Vesta a Roma.
Non che le sedici ragazze britanniche dovessero diventare sacerdotesse Vestali, perchè queste erano sorteggiate tra le bambine delle famiglie patrizie di sangue romano.
Le vergini britanniche sarebbero diventate Ancelle del tempio di Vesta, per partecipare a tutti i lavori di cui necessitava il tempio.
E per essere Ancelle di un tempio così sacro, quelle ragazze dovevano essere per forza vergini.

Partendo per Roma, quei gruppi di ragazze non avrebbero più visto il suolo natio. Ed è per questo che nella canzone il ragazzo non vuole che la sua ragazza lo lasci come una delle sedici Vestali in partenza per la costa, il che fuor di metafora significa che lui non la vuole perdere definitivamente.
Che ci fosse un rituale di questo genere non è da escludere in quanto la Britannia fu colonia romana dal 43 al 407 e tante pratiche e consuetudini romane dovevano essere diventate parte del popolo dei Britanni.
Un fatto storico questo delle sedici vergini la cui memoria può essere arrivata fino al medioevo inglese riportato in alcune ballate o poesie dell’epoca. Da queste l’approdo nel testo “A whiter shade of pale”.

Nell’immagine a lato,
“La Vestale” di Frederic Leighton (1830-1896)


Singolare è anche il fatto che il tempio alla dea Vesta con le sue sacerdotesse Vestali e i suoi cerimoniali fosse ben conosciuto anche dalle donne dei Teutoni in un’ epoca repubblicana dove i Romani non avevano ancora conquistato parte del nord Europa come fecero in seguito.
I Teutoni provenivano come popolo germanico dall’odierno Jutland danese e dovevano essere venuti a sapere di certe usanze e riti romani durante la loro discesa in Gallia, anche questa regione libera a quel tempo dal giogo romano.
Le donne teutoni con senso pratico dettato dalla situazione drammatica, si proposero ai romani vincitori come schiave del tempio di Vesta. Evidentemente sapevano che all’interno di quel tempio era presente un nutrito gruppo
di personale ausiliario femminile.

Infatti oltre alle sacerdotesse vestali, che non superavano il numero di sei, dovevano esserci diverse giovani vergini al loro servizio per aiutarle sia nelle incombenze religiose che in quelle alberghiere ordinarie, di cucina, di pulizia del tempio, delle varie camere, dei bagni…
E assieme a queste giovani vergini doveva esserci anche un gruppo di donne comuni, magari anche sposate, che svolgevano i lavori più grossolani.
Cosa questa molto logica in quanto le sei sacerdotesse non potevano, visto anche il loro sacro ruolo, dedicarsi a tutte le incombenze quotidiane, anche le più minute, di cui il tempio di Vesta, il più importante tempio di Roma, necessitava.
Da qui la presenza nel tempio di uno staff femminile di supporto vario.


Autore: Gaetano Dini
Messo on line in data: Aprile 2023